Premessa : si consiglia vivamente di leggere con attenzione tutta la pubblicazione. Puo’ apparire lunga ed a volte troppo tecnica , ma analizza quasi tutto sulle vaccinazioni, cercando di spiegare ai genitori cosa voglia dire : “ vaccinare il proprio figlio “
MALATTIE E VACCINI
E’ meglio avere la malattia naturale o effettuare la vaccinazione? Perché si vaccina contro malattie ormai scomparse in Italia? I vaccini sono sicuri? Sono efficaci? Come arrivare ad una scelta consapevole, quali strumenti abbiamo a disposizione per scegliere tra vaccinare o non vaccinare? Per affrontare questi problemi con razionalità è necessario porre sul piatto della bilancia tutte e due le possibilità, confrontando serenamente e senza preconcetti i rischi ed i benefici di entrambe le scelte.
E’ giusto esaminare i rischi delle vaccinazioni, ma anche quelli legati alla mancata protezione contro le malattie per le quali è invece disponibile un vaccino. L’avvento dei vaccini ha consentito di ridurre la diffusione di malattie gravi e mortali o addirittura di eliminarle dal mondo, come è avvenuto per il vaiolo. La riduzione delle infezioni, e dei conseguenti decessi e sequele invalidanti, è andata di pari passo con l’aumento delle coperture vaccinali. Pertanto il numero delle persone che hanno sofferto di queste malattie, o che hanno conosciuto direttamente persone da esse colpite, è andato diminuendo negli anni.
Così, negli ultimi tempi, l’attenzione della popolazione, o per lo meno di una parte di essa, si è andata concentrando sui possibili effetti collaterali delle vaccinazioni: se un lattante sano viene vaccinato ed ha dei problemi causati dalla vaccinazione, il confronto con i danni provocati dalla malattia non può più essere fatto (almeno per alcune di esse, attualmente in Italia) e quindi è possibile osservare il fenomeno della riduzione dell’accettazione delle vaccinazioni.
Questo fenomeno è ben noto a chi si occupa di vaccinazioni; tuttavia è dimostrato che la conseguenza di una riduzione della copertura vaccinale si traduce prima o poi in un aumento di quelle infezioni che sembravano scomparse e dei relativi decessi che esse provocano.
E’ noto che l’accettazione delle vaccinazioni è maggiore tra le persone che hanno sperimentato di persona le conseguenze, a volte mortali o devastanti, di queste infezioni; anche chi ha avuto familiari o conoscenti affetti da queste malattie non solo accetta le vaccinazioni, ma le richiede anche quando non offerte. La percezione del rischio delle possibili reazioni ai vaccini dipende perciò anche dalla possibilità di confrontarle con i rischi derivanti dalla malattia.
Al giorno d’oggi però quanti giovani genitori in Italia possono dire: “Ho visto di persona le conseguenze di una difterite, di una poliomielite” ? Anche molti medici ormai non ne hanno mai vista una; mentre tra coloro che possono fare il confronto: reazione da vaccino/danni da malattia, è difficile trovare delle persone ostili alle vaccinazioni.
Per i genitori di oggi, pertanto, è diventato meno intuitivo operare una scelta, rispetto a qualche decennio fa, perché manca un elemento diretto di confronto.
Questa riduzione della percezione del rischio si manifesta ormai anche per quanto riguarda la pertosse, il morbillo e la rosolia. I germi responsabili di queste infezioni circolano ancora nella popolazione italiana, ma negli ultimi anni, nelle Regioni dove si è vaccinato di più, si è verificata una nettissima diminuzione dei casi di malattia, parallelamente all’aumento della percentuale di bambini vaccinati (cioè della cosiddetta “copertura vaccinale”). Negli anni in cui non erano disponibili vaccini, si verificavano estese epidemie e, data l’elevata contagiosità delle tre malattie, praticamente nessun bambino suscettibile sfuggiva al contagio, sicché era più facile osservare le complicanze più temibili.
Un altro fattore che può falsare la percezione dei rischi da vaccinazione è costituito dal verificarsi di un evento (specie se grave) temporalmente successivo a una vaccinazione, ma non causato dalla vaccinazione. Quello che conta non è che l’evento sia effettivamente correlato alla vaccinazione, ma la convinzione dei genitori che l’evento sia stato sicuramente provocato dalla vaccinazione.
Se poi questa convinzione viene rafforzata dai mass media o dai movimenti anti-vaccinali, possono verificarsi cadute delle coperture vaccinali, con gravi conseguenze (vedremo più avanti in dettaglio alcuni casi emblematici).
Un altro fattore da considerare è che la vaccinazione viene praticata su di un bambino che sta bene, quindi per i genitori è a volte più difficile accettare una reazione al vaccino, rispetto ad es. ad un effetto collaterale provocato da un farmaco dato come terapia per una persona che è già ammalata. Posti di fronte alla scelta, alcuni genitori ritengono che sia meglio non fare niente (=non vaccinare) piuttosto che agire (= vaccinare). Viene cioè ritenuto che i rischi derivanti da un’azione siano maggiori di quelli derivanti dalla “omissione”, come gli psicologi anglosassoni definiscono questo comportamento (“omission-commission”): viene scelto il comportamento percepito psicologicamente come meno rischioso.
Purtroppo nel caso delle malattie infettive il comportamento più rischioso, sia a livello individuale che di popolazione, è proprio l’omissione (il non vaccinare) e non l’azione (la vaccinazione).
Una volta che, nel caso specifico delle vaccinazioni dei minori, i genitori ritengano che sia più rischioso vaccinare che astenersi dal farlo, possono prendere fin da subito la decisione di non vaccinare. Altri genitori, più coscienziosi e interessati ad approfondire l’argomento, cercano invece altre persone da cui attingere informazioni.
Se però la ricerca di dati è condizionata da una percezione psicologica che tende a privilegiare i rischi delle vaccinazioni, piuttosto che attuare una serena disamina, è probabile che la ricerca sia volta ad ottenere conferme della propria posizione; quindi si tende a dare maggiore attendibilità a quelle fonti (spesso prive di scientificità) che confermano l’ipotesi iniziale (=è meglio non vaccinare).
Non bisogna però dimenticare che con le vaccinazioni si ottengono 2 scopi: da un lato proteggiamo noi e il nostro bambino da malattie molto gravi; dall’altro, con la vaccinazione di tanti bambini, otteniamo anche la protezione della popolazione dalle epidemie, con riduzione dei
rischi anche di quei pochi che, per scelta o necessità, non sono vaccinati (ciò vale per tutte le malattie prevenibili con i vaccini tranne il tetano, non essendo quest’ultimo trasmesso da persona a persona). Inoltre possiamo arrivare, per molte malattie, alla loro scomparsa dal pianeta.
La vaccinazione è un diritto fondamentale di ogni bambino ed è stata individuata come una delle
azioni necessarie per ottemperare alla Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia (Durrheim 2010).
Con questo documento ci proponiamo di essere di aiuto ai genitori che desiderano approfondire il tema delle vaccinazioni pediatriche. Il testo è diviso in due parti: la prima contiene una serie di domande e risposte, il più possibile complete e nello stesso tempo sintetiche, in modo da rendere la lettura più agevole; nella seconda parte alcuni argomenti sono ulteriormente approfonditi e spiegati nei dettagli. Nel testo, tra parentesi e in corsivo, sono contenuti i riferimenti bibliografici. Pertanto, chiunque può controllare la corrispondenza tra ciò che è scritto nel documento e la fonte da cui il dato o l’informazione sono tratti. Le fonti sono costituite da articoli pubblicati su riviste scientifiche internazionali.
1) Quali sono attualmente i rischi per i nostri bambini di ammalarsi di una malattia come la poliomielite e la difterite, ormai scomparse nei Paesi sviluppati? Perché queste due vaccinazioni continuano ad essere praticate?
Sono due le malattie prevenibili con la vaccinazione eliminate nei Paesi sviluppati: la difterite e la poliomielite. Quando si parla di eliminazione di una malattia infettiva si intende l’assenza di casi in una popolazione. E’ cosa diversa dall’eradicazione, cioè la scomparsa dell’agente biologico che provoca una data infezione. Sino ad ora soltanto il vaiolo è stato eradicato, ed è per questo motivo che nessuno viene più vaccinato contro questa malattia.
Sebbene la difterite e la poliomielite siano state eliminate nei Paesi sviluppati, esse sono ancora presenti in diverse parti del mondo.
La difterite è un'infezione molto contagiosa e potenzialmente letale che attacca di solito le prime vie respiratorie. Nei casi più gravi, può coinvolgere il sistema nervoso, il cuore e il rene. La difterite è ancora endemica (cioè presente nella popolazione) in molte Nazioni, come si deduce dalla seguente tabella (fonte CDC, Yellow Book 2012 http://wwwnc.cdc.gov/travel/page/yellowbook-2012-home.htm)
Paesi con difterite endemica REGIONE / PAESI
Africa
Algeria, Angola, Egitto, Eritrea, Etiopia, Guinea, Niger, Nigeria, Sudan, Zambia e altri Paesi dell’Africa
sub-Sahariana
America Bolivia, Brasile, Colombia, Repubblica Dominicana, Ecuador, Haiti, Paraguay
Asia/Sud Pacifico
Bangladesh, Bhutan, Myanmar, Cambogia, Cina, India, Indonesia, Laos, Malesia, Mongolia, Nepal,
Pakistan, Papua Nuova Guinea, Filippine, Thailandia, Vietnam
Medio Oriente Afghanistan, Iran, Iraq, Arabia Saudita, Siria, Turchia, Yemen
Europa
Albania, Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Estonia, Georgia, Kazakistan, Kirghizistan, Lettonia,
Lituania, Moldavia, Russia, Tagikistan, Turkmenistan, Ucraina, Uzbekistan
Negli anni ‘90 si è verificata un’epidemia di grandi dimensioni nei nuovi Stati indipendenti dell'ex Unione Sovietica (descritta nella Seconda parte – Approfondimenti). Più di recente (2004-2006), nel continente americano, si sono verificate epidemie di difterite ad Haiti e nella Repubblica Dominicana (Bolt 2010).
Africa
Algeria, Angola, Egitto, Eritrea, Etiopia, Guinea, Niger, Nigeria, Sudan, Zambia e altri Paesi dell’Africa
sub-Sahariana
America Bolivia, Brasile, Colombia, Repubblica Dominicana, Ecuador, Haiti, Paraguay
Asia/Sud Pacifico
Bangladesh, Bhutan, Myanmar, Cambogia, Cina, India, Indonesia, Laos, Malesia, Mongolia, Nepal,
Pakistan, Papua Nuova Guinea, Filippine, Thailandia, Vietnam
Medio Oriente Afghanistan, Iran, Iraq, Arabia Saudita, Siria, Turchia, Yemen
Europa
Albania, Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Estonia, Georgia, Kazakistan, Kirghizistan, Lettonia,
Lituania, Moldavia, Russia, Tagikistan, Turkmenistan, Ucraina, Uzbekistan
Negli anni ‘90 si è verificata un’epidemia di grandi dimensioni nei nuovi Stati indipendenti dell'ex Unione Sovietica (descritta nella Seconda parte – Approfondimenti). Più di recente (2004-2006), nel continente americano, si sono verificate epidemie di difterite ad Haiti e nella Repubblica Dominicana (Bolt 2010).
La poliomielite (cioè la paralisi da virus polio) si manifesta mediamente in 1 caso su 200 soggetti infettati dal virus polio. Prima dell’introduzione della vaccinazione con il vaccino orale di Sabin (1964), in Italia e negli altri Paesi europei si verificavano regolarmente delle epidemie di polio. Di conseguenza la maggior parte delle persone non più giovani aveva già avuto l’infezione da virus polio, quasi sempre senza conseguenze invalidanti, ma acquisendo l’immunità. Con la vaccinazione si è ottenuta la “saldatura” delle 2 popolazioni: quella più anziana (immunizzata spesso naturalmente) e quella più giovane, vaccinata. Questo fatto ha prodotto la scomparsa della polio dal nostro Paese.
La poliomielite attualmente è ancora endemica in quattro Paesi: Afghanistan, India, Nigeria, Pakistan. In questi Paesi la trasmissione dei virus polio non si è mai fermata. Vi sono altre due categorie di Paesi: quelli in cui la circolazione dei virus polio è ripresa dopo un primo caso importato da una zona endemica e quelli che hanno in corso un’epidemia dopo l’importazione di un caso da una zona endemica. Queste due categorie di Paesi possono variare nel tempo; l’elenco aggiornato è contenuto nella seguente pagina web:
http://www.polioeradication.org/Infectedcountries.aspx.
La poliomielite attualmente è ancora endemica in quattro Paesi: Afghanistan, India, Nigeria, Pakistan. In questi Paesi la trasmissione dei virus polio non si è mai fermata. Vi sono altre due categorie di Paesi: quelli in cui la circolazione dei virus polio è ripresa dopo un primo caso importato da una zona endemica e quelli che hanno in corso un’epidemia dopo l’importazione di un caso da una zona endemica. Queste due categorie di Paesi possono variare nel tempo; l’elenco aggiornato è contenuto nella seguente pagina web:
http://www.polioeradication.org/Infectedcountries.aspx.
Nel momento in cui scriviamo, il primo gruppo comprende tre Paesi (Angola, Chad, Repubblica Democratica del Congo) e il secondo ne comprende undici, di cui nove sono Paesi africani e due asiatici (Cina e Nepal).
Apparentemente si tratta di malattie che colpiscono popolazioni lontane, ma non è così. Ormai tutti i Paesi del mondo sono interdipendenti, per cui aree anche molto remote possono essere raggiunte facilmente con i voli aerei. Si calcola che ogni anno quasi un miliardo di persone si sposti da un Paese all’altro per varie ragioni quali lavoro, vacanza, missioni umanitarie, visita a famigliari e amici (UNWTO 2011). Il flusso di persone è sia dai Paesi in via di sviluppo a quelli sviluppati, sia nel senso opposto: molti occidentali infatti si recano in Paesi in via di sviluppo e non sempre sono coscienti dei rischi per la salute connessi al viaggio, per cui può accadere che il viaggio sia intrapreso senza un’adeguata protezione dalle infezioni.
Epidemie o singoli casi di difterite e di poliomielite si sono verificati in Paesi che da tempo avevano eliminato queste malattie. Nella Seconda parte – Approfondimenti, potete leggere la descrizione dell’epidemia olandese di poliomielite (1991) e di quella russa di difterite (anni ’90).
Sapete quando si è verificata l’ultima epidemia di polio nella Regione Europea dell’OMS? (La Regione Europea dell’OMS - Organizzazione Mondiale della Sanità - comprende anche alcuni Stati asiatici). Si è verificata in Tagikistan nel 2010, con ben 458 casi
Apparentemente si tratta di malattie che colpiscono popolazioni lontane, ma non è così. Ormai tutti i Paesi del mondo sono interdipendenti, per cui aree anche molto remote possono essere raggiunte facilmente con i voli aerei. Si calcola che ogni anno quasi un miliardo di persone si sposti da un Paese all’altro per varie ragioni quali lavoro, vacanza, missioni umanitarie, visita a famigliari e amici (UNWTO 2011). Il flusso di persone è sia dai Paesi in via di sviluppo a quelli sviluppati, sia nel senso opposto: molti occidentali infatti si recano in Paesi in via di sviluppo e non sempre sono coscienti dei rischi per la salute connessi al viaggio, per cui può accadere che il viaggio sia intrapreso senza un’adeguata protezione dalle infezioni.
Epidemie o singoli casi di difterite e di poliomielite si sono verificati in Paesi che da tempo avevano eliminato queste malattie. Nella Seconda parte – Approfondimenti, potete leggere la descrizione dell’epidemia olandese di poliomielite (1991) e di quella russa di difterite (anni ’90).
Sapete quando si è verificata l’ultima epidemia di polio nella Regione Europea dell’OMS? (La Regione Europea dell’OMS - Organizzazione Mondiale della Sanità - comprende anche alcuni Stati asiatici). Si è verificata in Tagikistan nel 2010, con ben 458 casi
Eventi simili dimostrano due cose, tra loro connesse:
a) una malattia, precedentemente eliminata grazie alla vaccinazione, può ritornare se la copertura vaccinale (ossia la percentuale di persone vaccinate in una popolazione) scende al di sotto di un certo livello critico, che a sua volta dipende dalla contagiosità della malattia (più una malattia è contagiosa, più alta deve essere la percentuale dei vaccinati in una popolazione per poter eliminare o almeno ridurre sensibilmente il numero di casi di quella data malattia infettiva);
b) si può smettere di vaccinare contro una malattia infettiva soltanto quando l’agente biologico che ne è responsabile scompare in tutto il pianeta (si estingue), cioè quando si è ottenuta la sua eradicazione.
2. Quali sono i rischi legati alle malattie ancora presenti anche nei Paesi sviluppati, come tetano, pertosse, epatite B, meningiti batteriche, morbillo, parotite e rosolia?
Sebbene, grazie ai programmi di vaccinazione avviati da tempo in tutti i Paesi sviluppati, si sia verificata una riduzione dell’incidenza di tali malattie (ossia del numero di nuovi casi di una data malattia in una determinata popolazione in un certo periodo di tempo), per varie ragioni queste non sono scomparse. Una di esse, il tetano, a causa delle sue caratteristiche peculiari, non è eliminabile. Trattandosi di malattie molto differenti tra loro, dobbiamo esaminarle singolarmente.
TETANO
Il germe del tetano si trova ovunque; la sua straordinaria sopravvivenza è dovuta al fatto che questo batterio produce delle spore, che resistono sia ai comuni disinfettanti che al calore.
Se una spora, penetrando in una ferita anche piccolissima, trova delle condizioni di carenza di ossigeno (come può verificarsi in presenza di lembi necrotici o tessuti poco irrorati dal sangue), si apre, e il batterio produce una tossina che provoca il tetano, una gravissima infezione che provoca delle contrazioni muscolari, incompatibili con la vita in circa il 50% dei casi. In diversi casi però la ferita d’ingresso è così piccola che non è possibile rintracciarla sul corpo della persona ammalata.
Questa infezione non verrà mai eradicata, perché non avremo mai la possibilità di eliminare le spore dal terreno e più in generale dall’ambiente in cui viviamo; a differenza infatti del batterio della difterite e del virus della polio, che si possono diffondere solo tra gli esseri umani, il germe del tetano vive anche nell’intestino di diversi animali. Inoltre spore del tetano sono state ritrovate anche in tombe egizie, quindi l’umanità ha sempre avuto e avrà sempre a che fare con il tetano.
In Italia si verificano ancora mediamente sessanta casi di tetano all’anno, generalmente in persone anziane non vaccinate o vaccinate in modo incompleto; negli anni ‘70 il 50-60% delle persone colpite dal tetano moriva, tuttavia questa percentuale è scesa al 40% negli anni ’90 (Mandolini 2002), verosimilmente grazie alle moderne tecniche di rianimazione.
Tra le 292 segnalazioni di casi relative agli anni 1998-2000, 181 casi (62%) riportano informazioni relative allo stato vaccinale. Soltanto il 9,9% dei casi dei quali è noto lo stato vaccinale risulta vaccinato (Mandolini 2002), ma in questi soggetti non è noto quanto tempo fosse trascorso dall’ultimo richiamo, mentre questo è un dettaglio importante, visto che sono necessari richiami su base decennale per mantenere la protezione contro il tetano.
Il tetano si è ridotto notevolmente in Italia a partire dal 1968, anno dell’introduzione della vaccinazione obbligatoria in Italia. Nella regione Piemonte i casi sono in media da 4 a 11 l’anno.
Tra i bambini i casi di tetano sono rarissimi, proprio perché generalmente sono vaccinati. Se un bimbo non viene vaccinato contro il tetano, rimane esposto al rischio d’infezione tetanica per tutta la vita.
Nel 2006 in Piemonte un bambino di 34 mesi si è ammalato di tetano (Giovanetti, Pellegrino 2007). In precedenza aveva ricevuto una sola dose del vaccino antitetanico contenuto nel vaccino esavalente. I genitori avevano successivamente rifiutato di proseguire il ciclo vaccinale a causa di una dermatite atopica che si era manifestata alcuni giorni dopo la prima dose di vaccino. In realtà non esistono prove che la dermatite atopica possa essere causata o aggravata dalla vaccinazione, e infatti questo disturbo non è considerato una controindicazione alle vaccinazioni pediatriche. La prima dose del vaccino contro il tetano non è in grado di assicurare una protezione.
Normalmente solo 2-4 settimane dopo la seconda dose il titolo anticorpale contro il tetano supera la concentrazione protettiva minima. Infine, solo la terza dose induce un’elevata produzione di anticorpi specifici, in grado di assicurare la protezione.
Nel giugno del 2006 il bambino si è ferito al pollice sinistro, urtando contro un cancello di ferro. La ferita, che non era grave e non ha richiesto l’ospedalizzazione, è stata pulita e medicata in modo appropriato. Dopo 14 giorni sono comparsi i sintomi del tetano, che ha richiesto un ricovero nell’Unità di rianimazione di un ospedale pediatrico.
Dopo essere stato dimesso dall’ospedale, il bimbo ha continuato il normale ciclo delle vaccinazioni pediatriche senza sviluppare alcuna reazione.
Questo episodio ci insegna due cose: la prima è che una falsa controindicazione alla vaccinazione, come la dermatite atopica, può condurre ad un rifiuto della vaccinazione e che tale rifiuto può avere conseguenze molto gravi. La seconda è che solo il completamento del ciclo vaccinale è in grado di proteggere dalle malattie prevenibili con un vaccino: effettuare una sola dose di vaccino tetanico è come non effettuare alcuna vaccinazione.
C’è chi sostiene che il tetano sia una malattia degli anziani e che quindi i bambini non corrano
rischi. In base a questa tesi, gli anziani si ammalano più facilmente perché in età avanzata il sistema immunitario ha una diminuita funzionalità. Come prova viene portato il fatto che attualmente in Italia il tetano colpisce quasi esclusivamente persone anziane.
Se questa tesi fosse corretta, anche prima dell’introduzione della vaccinazione tetanica nei bambini (1968), i casi di tetano dovrebbero essere stati molto più frequenti tra gli anziani che tra i bambini e i giovani. Come sempre, per verificare la fondatezza di una tesi, occorre controllare i dati. Prima che fosse introdotta la vaccinazione su larga scala in Italia (1968), qual era l’età di coloro che si ammalavano di tetano?
In Italia dal 1961 al 1966 (Albano Salvaggio, 1987), quindi pochi anni prima dell’introduzione della vaccinazione in età pediatrica, i casi di tetano in età pediatrica e giovanile erano numerosi, mentre quelli dell’anziano costituivano una minoranza. Ciò significa che il tetano non è una malattia dell’anziano. Il fatto che attualmente il tetano colpisca quasi esclusivamente soggetti anziani è semplicemente un effetto della vaccinazione: prima del 1968 erano vaccinate solo alcune categorie di persone, come i lavoratori maggiormente esposti al rischio di tetano e i militari. Molti tra gli attuali anziani non sono vaccinati o non hanno più effettuato richiami. E non a caso sono i più colpiti dal tetano. Un’ulteriore prova sta nel fatto che, tra gli anziani, il tetano sia più frequente nelle donne: per la precisione il 69% dei casi di tetano segnalati nel periodo 1971-2000 nelle persone di età superiore ai 64 anni riguarda il sesso femminile (Mandolini 2002). Il motivo è molto banale: un tempo le donne avevano poche occasioni di vaccinarsi in quanto erano meno frequentemente impiegate in attività lavorative a rischio di tetano ed erano escluse dall’arruolamento nelle Forze Armate.
Prima dell’introduzione della vaccinazione, non solo i bambini si ammalavano di tetano, ma i decessi per tetano da 0 a 14 anni erano piuttosto numerosi, come si può vedere nel seguente grafico (Fonte: ISTAT).
In conclusione, sebbene negli anni precedenti al 1968 fosse già in atto una diminuzione dei casi e dei decessi da infezione tetanica, probabilmente dovuta ad una maggiore attenzione al problema e all’uso routinario della profilassi post-esposizione (vaccino e immunoglobuline) somministrata in caso di ferita, dobbiamo osservare che nel solo 1968 ben 32 bambini erano morti di tetano. A partire da quell’anno, grazie alla vaccinazione, è iniziata – e si è compiuta nell’arco di pochissimi anni – una decisa riduzione sia dei casi sia dei decessi.
Prima dell’introduzione della vaccinazione, non solo i bambini si ammalavano di tetano, ma i decessi per tetano da 0 a 14 anni erano piuttosto numerosi, come si può vedere nel seguente grafico (Fonte: ISTAT).
In conclusione, sebbene negli anni precedenti al 1968 fosse già in atto una diminuzione dei casi e dei decessi da infezione tetanica, probabilmente dovuta ad una maggiore attenzione al problema e all’uso routinario della profilassi post-esposizione (vaccino e immunoglobuline) somministrata in caso di ferita, dobbiamo osservare che nel solo 1968 ben 32 bambini erano morti di tetano. A partire da quell’anno, grazie alla vaccinazione, è iniziata – e si è compiuta nell’arco di pochissimi anni – una decisa riduzione sia dei casi sia dei decessi.
PERTOSSE
La pertosse non è stata ancora eliminata in nessun Paese del mondo. Nei Paesi in cui si è vaccinato di più, come in Italia negli ultimi anni, l’incidenza della pertosse è diminuita notevolmente. Si tratta di una malattia piuttosto contagiosa, sicché per eliminarla occorrono percentuali di vaccinati estremamente alte nei bambini e la somministrazione di richiami decennali negli adulti (in coincidenza con i richiami del tetano), non solo nei vaccinati ma anche in coloro che hanno superato la malattia naturale. Il superamento della pertosse infatti
produce un’immunità che dura soltanto 10-15 anni. La pertosse può essere una malattia grave, in particolare nei neonati e nei bambini piccoli. Oltre il 50% dei bambini con pertosse necessita di ricovero ospedaliero. La tosse può essere così grave da rendere difficile per i bambini mangiare, bere o respirare. Nei bambini di età inferiore a 6 mesi sono frequenti gli episodi di apnea, con possibili gravi conseguenze.
Le principali complicanze della pertosse sono di due tipi: polmonari e cerebrali. Quelle polmonari sono le più frequenti: in genere si tratta di polmoniti che possono compromettere seriamente la funzione respiratoria. Le complicanze cerebrali (encefalopatia da pertosse) sono caratterizzate da convulsioni e alterazione dello stato di coscienza. In un terzo dei casi l’encefalopatia da pertosse si risolve senza conseguenze, in un altro terzo il paziente muore e nel restante terzo sopravvive presentando un danno cerebrale permanente (Edwards 2008).
In sintesi, nei Paesi sviluppati, il rischio di complicazioni rispetto al totale dei casi è il seguente: polmonite 5%, encefalopatia 1 su 1.000, decesso 2 su 1.000 (CDC 2011).
Attualmente è difficile che un bambino piccolo sia contagiato da altri bambini. In genere riceve il contagio da adulti o adolescenti; si tratta di persone che non hanno mai superato la malattia naturale o l’hanno superata da più di dieci anni o infine sono stati vaccinati da piccoli e non hanno effettuato richiami.
Che cosa accade se un bimbo piccolo viene contagiato prima di terminare il ciclo completo della vaccinazione antipertosse? In questo caso potrebbe ammalarsi lo stesso, ma – rispetto ad un coetaneo non vaccinato ha un rischio minore di complicazioni o di essere ricoverato in ospedale. Uno studio sui bambini da 6 a 24 mesi ha dimostrato che il rischio di ospedalizzazione è 10 volte più alto nei bambini mai vaccinati contro la pertosse rispetto ai bambini parzialmente o completamente vaccinati (Stojanov 2000).
EPATITE B
L’epatite B è una malattia infettiva causata da un virus (HBV) presente nel sangue e nei liquidi corporei delle persone infettate. Il virus HBV può essere trasmesso dalla madre al neonato durante il parto (trasmissione verticale) oppure da persona a persona (trasmissione orizzontale) con due modalità:
esposizione a sangue infetto: il virus può essere trasmesso in modo inapparente, attraverso pratiche (scambio di aghi e siringhe tra tossicodipendenti, tatuaggi, piercing) che comportano l’esposizione a strumenti contaminati, qualora non siano rispettate le procedure raccomandate di sterilizzazione; esiste inoltre la possibilità che il virus possa essere trasmesso accidentalmente a seguito di procedure mediche o chirurgiche, anche in strutture mediche di livello elevato, come documentano le indagini effettuate in seguito ad epidemie ospedaliere di epatite B; rapporti sessuali.
Su 100 persone che contraggono l’infezione da virus B (Harrison 2001): dallo 0,1% all’1% sviluppa un’epatite fulminante: si tratta di una complicazione potenzialmente fatale; il 5% sviluppa lo stato di portatore cronico del virus B; il portatore cronico è a rischio di sviluppare una
delle seguenti patologie: epatite cronica, cirrosi epatica, cancro del fegato; la restante percentuale guarisce dalla malattia ed elimina completamente il virus.
In Italia, prima dell’introduzione del vaccino, erano segnalati circa 3.500 nuovi casi di epatite B all’anno; questa cifra non tiene conto del fenomeno della sottonotifica (una parte dei casi non vengono segnalati) né delle infezioni che decorrono senza sintomi e quindi passano inosservate, ma che sono la grande maggioranza.
La percentuale di portatori cronici nella popolazione italiana era del 2%, con punte del 6% in alcune regioni e in alcune aree metropolitane.
A partire dall’introduzione della vaccinazione (1991) l’incidenza dell’epatite B in Italia si è notevolmente ridotta. Nella seguente tabella, ricavata dai dati di sorveglianza delle epatiti virali (Mele 2008), l’incidenza dell’epatite B è suddivisa in tre fasce d’età: 0-14 anni, 15-24 anni, dai 25 anni in su. In ogni colonna è riportata l’incidenza osservata nell’anno in cui è stata introdotta la vaccinazione, l’incidenza 14 anni dopo (2005) e la differenza tra i due valori espressa come riduzione percentuale dell’incidenza. A partire dai nati nel secondo semestre del 1991 la vaccinazione viene praticata durante il primo anno di vita e nella tabella il suo effetto è evidente nella fascia d’ età più giovane (0-14 anni). Una riduzione simile si nota nella fascia 15 – 24 anni, includente i nati dal 1980 al primo semestre del 1991, che furono vaccinati a 12 anni. Nella fascia d’età di 25 anni e oltre, l’effetto della vaccinazione non si manifesta ancora in quanto, come abbiamo detto, si è iniziato a vaccinare a partire dai nati nel 1980. La riduzione del 55% rappresenta quindi principalmente l’effetto di tutta una serie di interventi igienico-sanitari finalizzati alla riduzione del rischio (miglioramento delle procedure di sterilizzazione e
dell’utilizzo di materiale monouso in ambito sanitario, vaccinazione dei conviventi dei portatori del virus etc.). Sono interventi indubbiamente utili e importanti, ma solo nelle coorti vaccinate troviamo una riduzione che si avvicina al 100%.
Nel mondo l’epatite B è ancora largamente diffusa e si stima che i portatori cronici del virus siano almeno 350 milioni. Anche nei Paesi sviluppati l’epatite B è un problema di sanità pubblica: negli Stati Uniti d’America circa 78.000 persone ogni anno contraggono l’epatite B e 5.000 persone muoiono ogni anno in seguito all’epatite cronica, alla cirrosi epatica e al cancro del fegato conseguenti all’infezione da virus B (CDC 2011).
Attualmente, la percentuale di portatori del virus (il c.d. serbatoio dell’infezione, costituito dai portatori cronici) nella nostra popolazione si è ridotta; i fenomeni migratori in atto tuttavia fanno sì che il serbatoio dei portatori sia alimentato, oltre che dalle persone che man mano si infettano e sviluppano lo stato di portatore cronico, anche dai portatori cronici che provengono da zone del mondo in cui vi è una elevata circolazione del virus.
MENINGITI BATTERICHE (o meglio: malattie batteriche invasive)
Si parla di malattia batterica invasiva quando un batterio entra nell’organismo e si localizza nelle meningi o nel sangue (sepsi o setticemia) o in altre zone del corpo normalmente sterili. Tra i bambini possono essere particolarmente severe le infezioni da batteri cosiddetti capsulati, come lo pneumococco, il meningococco e l’Haemophilus influenzae tipo b (nonostante il nome, quest’ultimo non ha nulla a che vedere con l’influenza). Lo pneumococco è anche responsabile di polmonite e l’Haemophilus b nel bimbo piccolo può causare epiglottite (una grave infezione della laringe). Nonostante si tratti di malattie non molto frequenti e che normalmente, nei Paesi sviluppati, non producono epidemie, possono comunque dar luogo a quadri clinici molto gravi e talora possono essere fatali: la letalità è pari al 13-14% per pneumococco e meningococco (SIMI). Prima che la vaccinazione facesse praticamente scomparire le forme da Haemophilus b, la letalità era del 3% nei Paesi sviluppati (Bennet 2002). [La letalità è la proporzione di pazienti morti per una certa malattia in un dato periodo sul totale dei casi osservati nello stesso periodo di tempo]. Tutto ciò accade nonostante la disponibilità di antibiotici, verso cui peraltro questi batteri tendono a sviluppare resistenza. Esistono vaccini in grado di proteggere contro una parte dei tipi batterici responsabili di malattia, e precisamente 13 tipi di pneumococco, sino a 4 tipi di meningococco e contro l’ Haemophilus di tipo b; non si tratta quindi di vaccini in grado di eliminare completamente il rischio di malattia invasiva, ma nelle realtà in cui sono stati utilizzati è stata osservata una marcata riduzione dell’incidenza.
MORBILLO
Il morbillo è una delle malattie più contagiose negli esseri umani, e rimane una delle principali cause di morte nei bambini in tutto il mondo. Nei Paesi altamente sviluppati, come gli Stati Uniti, il morbillo uccide circa due persone ogni 1.000 persone infette (CDC 2011). Non esistono terapie per il morbillo, e la prevenzione sotto forma di vaccinazione è praticata in tutto il mondo da diversi anni, con risultati significativi: mentre nel 2000 si stima che il morbillo a livello mondiale abbia ucciso 733.000 persone, nel 2008 i morti sono scesi a 164.000, a causa dell’uso esteso della vaccinazione (MMWR 2009).
Paradossalmente il morbillo sta riemergendo nelle Nazioni sviluppate, incluse quelle – come la Gran Bretagna – che negli anni 90 del Novecento si erano avvicinate alla sua eliminazione.
Un aumento dei casi si è verificato anche nel resto d’Europa e negli Stati Uniti. Nel 2010 in Europa sono stati segnalati 30.367 casi, appartenenti a tutte le fasce d’età, inclusi più di 5.000 adulti. I decessi sono stati 21. I non vaccinati erano la grande maggioranza (73%), pochi erano vaccinati con una sola dose (10%), solo il 2% aveva ricevuto le due dosi raccomandate, di un restante 14% non era noto lo stato vaccinale, mentre il numero di dosi ricevute era ignoto nell’1% (Euvac 2011).
In nessun Paese sviluppato il problema è rappresentato – come accade altrove – dalla disponibilità del vaccino o dall’insufficienza delle strutture sanitarie. Il problema è di tipo sociale e culturale, poiché è aumentato il numero di famiglie che rifiutano la vaccinazione. Trattandosi di una malattia estremamente contagiosa, per non avere più epidemie occorre vaccinare più del 95% dei bambini. E’ sufficiente che questa percentuale scenda anche di pochi punti, per veder comparire nuovi focolai epidemici. Sicuramente il fenomeno è stato influenzato dalla controversia su vaccino morbillo-parotite-rosolia e autismo, successivamente rivelatasi come una vera e propria frode scientifica .
Inoltre, alcuni genitori non possiedono un’esperienza diretta del morbillo e non sono correttamente informati circa la sua contagiosità e le possibili complicazioni.
PAROTITE
Il motivo per cui è stata introdotta la vaccinazione contro la parotite epidemica (in forma trivalente: morbillo-parotite- rosolia) è da ricercare nella frequenza delle complicazioni associate alla malattia: nel 15% si ha un interessamento del sistema nervoso centrale, nel 2% - 5% una pancreatite, sordità permanente in un caso su 20.000 e, se l’infezione è contratta dopo la pubertà, orchite (infiammazione del testicolo) nel 20 – 50% dei casi (CDC 2011). Come sempre, il rischio di contrarre la malattia è legato alla possibilità del virus di diffondersi nella popolazione: più numerosi sono i suscettibili alla parotite, più facilmente avremo delle epidemie.
ROSOLIA
La vaccinazione contro la rosolia è stata introdotta (in forma trivalente: morbillo-parotite-rosolia) al fine di eliminare la rosolia congenita. Le più frequenti manifestazioni della rosolia contratta in gravidanza sono (oltre all’aborto): i difetti della vista, la sordità, le malformazioni cardiache e il ritardo mentale nel neonato. Ciò accade quando la donna suscettibile alla rosolia (ossia non vaccinata e che non ha superato la malattia) contrae l’infezione durante la gravidanza, in particolare nelle prime settimane. Un tempo si proponeva la vaccinazione alle donne suscettibili in età fertile, o alle ragazze adolescenti, ma questa strategia non ha funzionato in nessuna parte del mondo, poiché il virus continuava a circolare e contemporaneamente non si riusciva a vaccinare il 100% delle donne suscettibili. L’unica strategia che funziona è la vaccinazione di almeno il 95% dei bambini, maschi e femmine, in modo da eliminare completamente la circolazione del virus nella popolazione. Questo obiettivo non è stato ancora pienamente raggiunto in Europa, pertanto si verificano ancora casi di rosolia congenita.
Per poter registrare un vaccino presso l’EMA (Agenzia Europea dei Farmaci) o la FDA (Food and Drug Administration), il produttore deve presentare la documentazione, basata su studi clinici, che dimostra l’efficacia e la sicurezza del prodotto. Ulteriori valutazioni di efficacia e sicurezza vengono effettuate dal momento in cui un nuovo vaccino viene utilizzato in modo estensivo nella popolazione. E’ così possibile fornire una valutazione della sua efficacia e sicurezza sul campo. Alcuni vaccini, come quello contro il tetano e la difterite o il morbillo, hanno una storia molto lunga ed è possibile dimostrare – sia in epoche differenti sia in popolazioni differenti – la diminuzione dei casi dopo la loro introduzione. E’ possibile anche dimostrare il ritorno di una malattia precedentemente eliminata o ridimensionata quando, per varie ragioni, è stata sospesa la vaccinazione. Nella seconda parte del presente documento sono raccontati alcuni episodi di questo tipo: la pertosse in Giappone, la difterite nella ex Unione Sovietica, la poliomielite in Olanda. La conclusione che si può trarre da questi fatti è che non possiamo smettere di vaccinare per una determinata malattia sino a quando l’agente biologico responsabile non viene eradicato a livello globale.
Per quanto riguarda la durata della protezione, gli studi di immunologia hanno consentito di chiarire il complesso meccanismo della risposta immunitaria ai vaccini (Siegrist 2008), di cui forniamo di seguito i concetti di base.
La durata della protezione conferita dai vaccini è conseguente ad un fenomeno noto come memoria immunologica, ossia la capacità del nostro sistema immunitario di riconoscere un agente biologico (virus, batterio o altro) dopo un precedente incontro. Specifiche cellule (i linfociti B memoria) mantengono la traccia dell’incontro e sono in grado di riconoscere lo stesso virus o batterio e attivare una risposta immunitaria. Ciò accade sia nel caso di un’infezione naturale sia in seguito ad una vaccinazione. La durata della protezione dipende dalla capacità di un vaccino di indurre la memoria immunitaria. Essa è presente anche quando gli anticorpi circolanti nel sangue scendono al di sotto del livello considerato protettivo: in tali casi l’incontro con l’agente biologico produce un aumento degli anticorpi nell’arco di alcuni giorni. Tutti i vaccini utilizzati negli attuali programmi di vaccinazione dei bambini inducono la memoria immunologica. Alcuni di essi dopo la somministrazione del ciclo di base hanno bisogno di periodici richiami e altri no. I richiami sono indispensabili soprattutto quando si tratta di malattie il cui periodo d’incubazione è piuttosto breve, come la difterite (2-5 giorni) ed il tetano (in media 10 giorni). Per altre malattie - ad esempio l’epatite B - non sono normalmente
10 necessari richiami: infatti, anche nei casi in cui non sono più presenti anticorpi protettivi, il lungo periodo d’incubazione (di solito 45-180 giorni) dà il tempo ai linfociti memoria di attivarsi, con la conseguente risalita della concentrazione degli anticorpi nel sangue.
4. Perché si inizia a vaccinare subito dopo il compimento dei due mesi? Non è troppo presto?
La vaccinazione è iniziata a 2 mesi compiuti (ossia durante il 3° mese, tra i 2 mesi compiuti e i 3 da compiere) per tre ragioni:
- --a 2 mesi il sistema immunitario del bambino è già in grado di rispondere alla vaccinazione;
- --nel bambino di 2 mesi le vaccinazioni sono sicure: aspettare non serve ad aumentare la sicurezza dell’atto vaccinale;
- --ogni ritardo nell’inizio delle vaccinazioni prolunga il periodo in cui il bambino è suscettibile alle infezioni prevenibili con il vaccino. Ritardare l’inizio delle vaccinazioni ha un prezzo: molte volte questo prezzo fortunatamente non viene mai pagato, e il bambino continua a star bene anche se le vaccinazioni sono ritardate. Ma talvolta il prezzo da pagare è alto. Per esempio, sappiamo che la pertosse nel lattante si manifesta costantemente in modo atipico, con crisi di apnea. Questo fatto rende la pertosse una malattia molto pericolosa specialmente nei primi mesi di vita. Tuttavia, come già sottolineato nel paragrafo 2.b, uno studio sui bambini da 6 a 24 mesi ha dimostrato che il rischio di ospedalizzazione è 10 volte più alto nei bambini mai vaccinati contro la pertosse rispetto ai bambini parzialmente o completamente vaccinati (Stojanov 2000).
5. Come viene valutata la sicurezza dei vaccini?
Quando diciamo che un vaccino è sicuro, che cosa intendiamo realmente? Se ci pensiamo bene, molte controversie sui vaccini ruotano intorno alla definizione di “vaccino sicuro”. Se con questo termine intendiamo un prodotto che è totalmente esente da effetti collaterali, allora nessun vaccino è sicuro al 100%. Esattamente come nessuna attività umana è sicura: un certo rischio, per quanto piccolo, esiste in tutte le nostre attività.
Anche l’ambiente percepito come più sicuro, ossia la nostra casa, comporta un rischio: si stima che in Italia ogni anno più di 4.000 persone muoiano per incidenti domestici. Se invece per “sicuro” si intende un vaccino che solo molto raramente o eccezionalmente può provocare degli effetti collaterali seri e tuttavia questi sono considerati accettabili, proprio perché quel vaccino difende da un pericolo più grande, rappresentato dalla malattia, allora siamo di fronte ad una definizione più aderente alla realtà.
Uno slogan ricorrente degli oppositori delle vaccinazioni è che non ci sono studi che valutano la sicurezza dei vaccini, oppure – se questi studi esistono – sono insufficienti. Questa è un’opinione, ma quali sono i fatti? La realtà è che le grandi controversie sulla sicurezza dei vaccini sono tutte state indagate per mezzo di studi approfonditi: questi studi sono stati pubblicati, pertanto chiunque può leggerli e valutarli. Gli studi sono stati intrapresi anche nei casi in cui le ipotesi da verificare erano fragili dal punto di vista scientifico (come nel caso della controversia sull’autismo, prima che si venisse a sapere che lo studio alla base di quell’ipotesi fosse fraudolento). I risultati sono riassunti nel presente documento, che di ogni studio citato riporta la bibliografia, in modo che chiunque possa controllare la fonte.
Quando un evento grave, come l’insorgenza di un’epilessia oppure un’encefalite, si presenta a breve distanza da una vaccinazione, si tende ad attribuirlo a quest’ultima. Il ragionamento è: se l’evento B si manifesta dopo l’evento A, allora A è la causa e B l’effetto. Purtroppo, questo modo di ragionare è una potenziale causa di errori nell’interpretare un evento, qualsiasi evento, anche quelli banali della vita quotidiana. Per stabilire se, oltre a costituire una successione di eventi, A e B siano anche l’uno la causa dell’altro, occorre studiare un certo numero di eventi in cui B è accaduto dopo A, per capire se esiste un rapporto causa-effetto. Su un singolo caso
infatti non è possibile trarre conclusioni. Purtroppo molte patologie, soprattutto a livello del sistema nervoso, insorgono nel corso del primo anno di vita, a volte nelle settimane o mesi successivi alle vaccinazioni. E allora nel campo dei vaccini (e dei farmaci in genere) è possibile effettuare degli studi di tipo epidemiologico in grado di rivelare se A è la causa di B oppure se i singoli casi osservati sono semplicemente il frutto di una coincidenza casuale.
6. I vaccini indeboliscono o sovraccaricano il sistema immunitario? La somministrazione
contemporanea di più vaccini comporta dei rischi?
Alcuni ritengono che il sistema immunitario del bambino sia fragile. Ma se così fosse, gran parte dei neonati non sopravvivrebbe alla moltitudine di virus, batteri e funghi che si trova a fronteggiare subito dopo la nascita. Alcuni oppositori delle vaccinazioni su questo punto si contraddicono: da una parte affermano che le infezioni come la pertosse, il morbillo e altre sono salutari perché rafforzano il sistema immunitario del bambino, dall’altra sconsigliano le vaccinazioni in quanto esse sollecitano il sistema immunitario. La contraddizione è ancora più evidente se si considera che la malattia naturale impegna il sistema immunitario molto di più della corrispondente vaccinazione. Ad esempio, non dovrebbe essere difficile cogliere la differenza tra la blanda infezione causata dal vaccino del morbillo (che quasi sempre decorre senza sintomi o con sintomi modesti quali un episodio febbrile alcuni giorni dopo la vaccinazione) e la malattia naturale: il morbillo provoca febbre elevata per alcuni giorni, esantema, congiuntivite e sono possibili complicazioni severe quali l’encefalite e la polmonite,
che nei vaccinati non si verificano.
In realtà, malattie virali come il morbillo indeboliscono il sistema immunitario, mentre i vaccini lo rafforzano, mettendo l’organismo nelle condizioni di combattere le infezioni.
Il neonato ha sviluppato la capacità di rispondere ad antigeni (ossia tutte le sostanze capaci di indurre una risposta immunitaria) prima ancora della nascita. Le cellule B e T (cellule fondamentali per la risposta immunitaria) sono presenti alla 14a settimana di gestazione e sono già in grado di rispondere ad una grande varietà di antigeni; il feto tuttavia non utilizza questa potenzialità, non ne ha ancora bisogno perché, finché rimane nell’utero materno, viene a contatto con pochi antigeni. Rispetto a tale enorme massa di microorganismi, gli antigeni contenuti nei vaccini costituiscono un minimo “carico” per il sistema immunitario del bimbo: è stato calcolato che gli 11 vaccini che ogni lattante riceve contemporaneamente negli Stati Uniti,
impegnano solo lo 0,1% del suo sistema immunitario (Offit 2002).
Inoltre, pur essendo aumentato il numero dei vaccini, con il passare degli anni è diminuito il numero degli antigeni somministrati; ciò è dovuto sia al fatto che il vaccino contro il vaiolo non viene più somministrato (perché il virus del vaiolo è scomparso proprio grazie alla vaccinazione) sia al fatto che i nuovi vaccini sono maggiormente purificati, per es. il vecchio vaccino pertosse a cellula intera conteneva circa 3000 antigeni, l’attuale vaccino acellulare ne contiene 3 (Offit 2002).
Si calcola che anche nel bambino i recettori delle cellule T (cioè le porzioni delle cellule immunitarie che riconoscono e si legano agli antigeni dei virus e dei batteri) possano essere prodotti nella quantità di 1018 (= 1 seguito da 18 zeri) (Strauss 2008). Questo dato ci fa capire quanto grandi siano le potenzialità del nostro sistema immunitario.
Se le vaccinazioni fossero realmente in grado di indebolire o sovraccaricare il sistema immunitario, dovremmo osservare un aumento di episodi infettivi dopo ogni vaccinazione. Per testare questa ipotesi sono stati condotti alcuni studi, e precisamente:
- uno studio condotto in Germania (Otto 2000) ha confrontato un gruppo di bambini vaccinati contro difterite, pertosse, tetano, poliomielite e Haemophilus b simultaneamente durante il terzo mese di vita ed un gruppo di bambini della stessa età vaccinati dopo il terzo mese. Il gruppo vaccinato durante il terzo mese non ha presentato una maggiore frequenza di malattie infettive. Al contrario, la frequenza di infezioni è risultata significativamente ridotta. Questo fenomeno potrebbe essere spiegato con una non specifica attivazione del sistema immunitario prodotta dalla vaccinazione;
- uno studio condotto in Gran Bretagna (Miller 2003) ha valutato se nelle 12 settimane seguenti alla somministrazione del vaccino morbillo-parotite-rosolia fosse riscontrabile un aumento di frequenza delle infezioni batteriche invasive e polmonite: nei bambini esaminati (di età 12-23 mesi) e nel periodo considerato (dal 1991 al 1995) non è stato osservato alcun aumento delle ospedalizzazioni nel periodo successivo alla vaccinazione.
- uno studio effettuato in Danimarca (Hviid 2005) su tutti i bambini nati dal 1990 al 2001 (più di 800.000 soggetti) ha messo in relazione tutte le vaccinazioni pediatriche somministrate e i ricoveri in ospedale per alcune importanti infezioni quali polmonite, setticemia, infezioni virali del sistema nervoso, meningite, polmonite, infezioni diarroiche e del tratto respiratorio superiore. Non è stato riscontrato alcun aumento di infezioni in seguito alla somministrazione dei vaccini pediatrici, compresi i vaccini costituiti da più componenti (come ad esempio gli esavalenti).
La conclusione è che le vaccinazioni del bambino non indeboliscono né sovraccaricano il sistema immunitario. Questo è vero sia quando si somministra un singolo vaccino, sia quando vengono effettuate più vaccinazioni contemporaneamente. Infatti, se davvero i vaccini indebolissero o compromettessero il sistema immunitario, ci si aspetterebbe una minore risposta immunitaria (sotto forma di una minor quantità di anticorpi prodotti) in seguito alla somministrazione di più vaccini contemporaneamente, rispetto alla somministrazione di un vaccino per volta. Invece non è così: gli studi clinici dimostrano che la somministrazione contemporanea del vaccino esavalente (contenente gli antigeni di difterite, tetano, pertosse, polio, Haemophilus b, epatite B) e del vaccino 13-valente contro lo pneumococco, oltre a non determinare un aumento degli effetti collaterali severi, non produce una risposta inferiore rispetto alla somministrazione separata dei due vaccini (Esposito 2010). Lo stesso accade con gli altri vaccini (morbillo-parotite-rosolia, meningococco C etc.) del calendario di vaccinazione
dell’infanzia (Miller 2011). E’ vero invece che la somministrazione contemporanea di più vaccini può provocare un aumento sia delle reazioni locali (ossia gonfiore, arrossamento e dolore nella sede di somministrazione del vaccino) sia generali (soprattutto la febbre); tuttavia tale inconveniente è ampiamente compensato dalla riduzione degli accessi al servizio vaccinale, con conseguente minore stress per il bambino.
che nei vaccinati non si verificano.
In realtà, malattie virali come il morbillo indeboliscono il sistema immunitario, mentre i vaccini lo rafforzano, mettendo l’organismo nelle condizioni di combattere le infezioni.
Il neonato ha sviluppato la capacità di rispondere ad antigeni (ossia tutte le sostanze capaci di indurre una risposta immunitaria) prima ancora della nascita. Le cellule B e T (cellule fondamentali per la risposta immunitaria) sono presenti alla 14a settimana di gestazione e sono già in grado di rispondere ad una grande varietà di antigeni; il feto tuttavia non utilizza questa potenzialità, non ne ha ancora bisogno perché, finché rimane nell’utero materno, viene a contatto con pochi antigeni. Rispetto a tale enorme massa di microorganismi, gli antigeni contenuti nei vaccini costituiscono un minimo “carico” per il sistema immunitario del bimbo: è stato calcolato che gli 11 vaccini che ogni lattante riceve contemporaneamente negli Stati Uniti,
impegnano solo lo 0,1% del suo sistema immunitario (Offit 2002).
Inoltre, pur essendo aumentato il numero dei vaccini, con il passare degli anni è diminuito il numero degli antigeni somministrati; ciò è dovuto sia al fatto che il vaccino contro il vaiolo non viene più somministrato (perché il virus del vaiolo è scomparso proprio grazie alla vaccinazione) sia al fatto che i nuovi vaccini sono maggiormente purificati, per es. il vecchio vaccino pertosse a cellula intera conteneva circa 3000 antigeni, l’attuale vaccino acellulare ne contiene 3 (Offit 2002).
Si calcola che anche nel bambino i recettori delle cellule T (cioè le porzioni delle cellule immunitarie che riconoscono e si legano agli antigeni dei virus e dei batteri) possano essere prodotti nella quantità di 1018 (= 1 seguito da 18 zeri) (Strauss 2008). Questo dato ci fa capire quanto grandi siano le potenzialità del nostro sistema immunitario.
Se le vaccinazioni fossero realmente in grado di indebolire o sovraccaricare il sistema immunitario, dovremmo osservare un aumento di episodi infettivi dopo ogni vaccinazione. Per testare questa ipotesi sono stati condotti alcuni studi, e precisamente:
- uno studio condotto in Germania (Otto 2000) ha confrontato un gruppo di bambini vaccinati contro difterite, pertosse, tetano, poliomielite e Haemophilus b simultaneamente durante il terzo mese di vita ed un gruppo di bambini della stessa età vaccinati dopo il terzo mese. Il gruppo vaccinato durante il terzo mese non ha presentato una maggiore frequenza di malattie infettive. Al contrario, la frequenza di infezioni è risultata significativamente ridotta. Questo fenomeno potrebbe essere spiegato con una non specifica attivazione del sistema immunitario prodotta dalla vaccinazione;
- uno studio condotto in Gran Bretagna (Miller 2003) ha valutato se nelle 12 settimane seguenti alla somministrazione del vaccino morbillo-parotite-rosolia fosse riscontrabile un aumento di frequenza delle infezioni batteriche invasive e polmonite: nei bambini esaminati (di età 12-23 mesi) e nel periodo considerato (dal 1991 al 1995) non è stato osservato alcun aumento delle ospedalizzazioni nel periodo successivo alla vaccinazione.
- uno studio effettuato in Danimarca (Hviid 2005) su tutti i bambini nati dal 1990 al 2001 (più di 800.000 soggetti) ha messo in relazione tutte le vaccinazioni pediatriche somministrate e i ricoveri in ospedale per alcune importanti infezioni quali polmonite, setticemia, infezioni virali del sistema nervoso, meningite, polmonite, infezioni diarroiche e del tratto respiratorio superiore. Non è stato riscontrato alcun aumento di infezioni in seguito alla somministrazione dei vaccini pediatrici, compresi i vaccini costituiti da più componenti (come ad esempio gli esavalenti).
La conclusione è che le vaccinazioni del bambino non indeboliscono né sovraccaricano il sistema immunitario. Questo è vero sia quando si somministra un singolo vaccino, sia quando vengono effettuate più vaccinazioni contemporaneamente. Infatti, se davvero i vaccini indebolissero o compromettessero il sistema immunitario, ci si aspetterebbe una minore risposta immunitaria (sotto forma di una minor quantità di anticorpi prodotti) in seguito alla somministrazione di più vaccini contemporaneamente, rispetto alla somministrazione di un vaccino per volta. Invece non è così: gli studi clinici dimostrano che la somministrazione contemporanea del vaccino esavalente (contenente gli antigeni di difterite, tetano, pertosse, polio, Haemophilus b, epatite B) e del vaccino 13-valente contro lo pneumococco, oltre a non determinare un aumento degli effetti collaterali severi, non produce una risposta inferiore rispetto alla somministrazione separata dei due vaccini (Esposito 2010). Lo stesso accade con gli altri vaccini (morbillo-parotite-rosolia, meningococco C etc.) del calendario di vaccinazione
dell’infanzia (Miller 2011). E’ vero invece che la somministrazione contemporanea di più vaccini può provocare un aumento sia delle reazioni locali (ossia gonfiore, arrossamento e dolore nella sede di somministrazione del vaccino) sia generali (soprattutto la febbre); tuttavia tale inconveniente è ampiamente compensato dalla riduzione degli accessi al servizio vaccinale, con conseguente minore stress per il bambino.
Ogni medico vorrebbe avere a disposizione accertamenti di laboratorio in grado di prevedere o prevenire eventuali reazioni avverse conseguenti alla somministrazione dei vaccini, ma attualmente non esiste nulla del genere: intendiamo dire nulla che sia basato su evidenze scientifiche, altrimenti tutti noi effettueremmo questi accertamenti (e come noi i nostri colleghi di tutto il mondo); esiste invece la possibilità, attraverso l’anamnesi, di identificare le situazioni che controindicano (temporaneamente o per sempre) la somministrazione di un vaccino oppure le situazioni che richiedono prudenza nell’iniziare o continuare una vaccinazione. In ogni caso,
non è necessario effettuare di routine, prima delle vaccinazioni, una visita medica o misurare la temperatura corporea (ACIP 2011).
Nessun esame, al momento attuale, riesce invece a stabilire se un bimbo presenta un aumentato rischio di reazioni. In particolare non ha alcuna utilità la tipizzazione HLA. I geni HLA forniscono il codice per la produzione di determinate proteine [antigeni HLA] che si trovano sulla superficie delle nostre cellule. E’ vero che alcune malattie (tra cui varie malattie autoimmuni) sono più frequenti nei possessori di determinati antigeni HLA, ma questo non significa che si possa prevedere con questo esame se una persona svilupperà una data malattia. Se quindi tale previsione è difficile, si può intuire come sia davvero impossibile prevedere quali soggetti portatori di determinati antigeni HLA potrebbero più facilmente sviluppare una reazione severa dopo una vaccinazione. Un esempio può spiegare meglio questo fatto. L’artrite reattiva è una malattia che si può presentare da 1 a 4 settimane dopo un’infezione da germi quali Salmonella, Shigella e molti altri. Circa il 75-80% delle persone affette da artrite reattiva ha un test positivo per l’antigene HLA-B27. Tuttavia, gli individui con HLA-B27 non necessariamente sviluppano la malattia. Circa il 9% di persone sane è positiva per HLA-B27, ma solo il 20% di loro si svilupperà l'artrite reattiva dopo un’infezione.
Nel 2000 sono stati descritti due casi di artrite reattiva occorsi dopo la somministrazione del vaccino antitifico orale (in coincidenza temporale con quest’ultimo ma, come abbiamo già visto, ciò non implica necessariamente un rapporto causa-effetto). Per completare l’inquadramento diagnostico, tutti i casi di artrite reattiva vengono sottoposti a tipizzazione HLA per l’antigene HLA-B27, e così è stato fatto anche in questo caso. Nei due pazienti, com’era il risultato? Era negativo (Adachi 2000). Quindi, anche se per assurdo qualcuno avesse deciso di sottoporre i due soggetti al test per decidere se vaccinarli o meno, il risultato non avrebbe avuto alcuna utilità.
8. Quali additivi (conservanti, adiuvanti etc.) sono contenuti nei vaccini? Si tratta di sostanze
tossiche?
Nessuno studio ha mai dimostrato che gli additivi (adiuvanti e conservanti) alle dosi contenute nei vaccini possano determinare problemi di tossicità.
I vaccini pediatrici attualmente disponibili non contengono thiomersal (e quindi non contengono mercurio). Da diversi anni il thiomersal non è più utilizzato come conservante; la sua eliminazione è stata dettata dal principio di precauzione, sebbene vari studi epidemiologici non abbiano dimostrato conseguenze per la salute dei bambini a suo tempo vaccinati con prodotti contenenti tale conservante (Offit, Kew 2003; Heron 2004; Parker 2004; Thompson 2007; Tozzi 2009).
I sali di alluminio invece non sono eliminabili dai vaccini che attualmente li contengono, perché giocano un ruolo fondamentale nella risposta immunitaria (senza di essi l’efficacia di alcuni vaccini sarebbe fortemente ridotta); il contenuto di alluminio nei vaccini è dell’ordine di alcuni mg (precisamente varia a seconda del prodotto da 0,25 a 2,5 mg). L’Organizzazione Mondiale della Sanità (World Health Organization 1997c) afferma che nella popolazione generale non esiste alcun rischio sanitario in relazione all’assunzione di alluminio con i farmaci e con l’alimentazione (ogni giorno ingeriamo con il cibo dai 5 ai 20 mg di alluminio, che è contenuto
soprattutto nei vegetali; parte della quantità di alluminio ingerita va in circolo e viene eliminata per via renale); la tossicità da alluminio è riscontrabile solo nei lavoratori professionalmente esposti e in alcuni pazienti affetti da insufficienza renale cronica i quali, a causa della loro malattia, non riescono ad eliminare l’alluminio per mezzo dei reni.
Il lattante ingerisce quotidianamente alluminio: esso si trova nel latte materno, ad una concentrazione media di 40 microgrammi per litro, mentre il latte artificiale presenta una concentrazione più elevata, in media 225 microgrammi per litro; durante il secondo semestre di vita, in relazione allo svezzamento, la quantità di alluminio introdotta ogni giorno è in media di 0,7 mg (Keith 2002). Tra i vaccini pediatrici correntemente utilizzati, solo l’antipolio, l’anti-Haemophilus b e l'anti-morbillo-parotiterosolia non contengono sali di alluminio.
Per la preparazione di alcuni vaccini la formaldeide è utilizzata come agente inattivante (sostanza che inattiva, ossia elimina il potere patogeno, di un virus o un batterio) e pertanto può essere presente, ma solamente in tracce, nel prodotto finito. In un ridotto numero di vaccini è invece presente come conservante, ad una concentrazione non superiore a 0,1 mg. Nonostante si tratti di quantità veramente minime, sono stati sollevati dubbi sulla sicurezza di tale additivo.
Ciò è accaduto perché alte concentrazioni di formaldeide possono danneggiare il DNA e determinare mutazioni genetiche in colture di cellule (osservate in laboratorio, in situazioni sperimentali). Studi epidemiologici su determinate categorie di lavoratori esposti hanno individuato un aumentato rischio di cancro in seguito a massicce e/o prolungate esposizioni alla formaldeide. Questa sostanza si trova nelle abitazioni poiché è rilasciata dai mobili e da altri materiali comunemente presenti nelle nostre case; inoltre è il risultato di processi di combustione: per es. il fumo di sigaretta contiene formaldeide (National Cancer Institute, 2004). Ogni giorno tutti noi respiriamo e ingeriamo con i cibi una certa quantità di formaldeide. Un fatto meno noto al pubblico è che il nostro organismo produce naturalmente piccole quantità di formaldeide: questa sostanza fa parte del nostro normale metabolismo ed è necessaria per la produzione del DNA e di alcuni aminoacidi (Offit, Kew 2003). L’uomo e gli altri mammiferi hanno naturalmente (cioè anche in assenza di esposizione ambientale) una concentrazione di formaldeide nel sangue pari a 2,5 microgrammi per ml; un bambino di 2 mesi che pesa 5 kg ha in media 85 ml di sangue per kg di peso, quindi: 5x85= 425 ml di sangue. 2,5 microgrammi x 425 = 1062 microgrammi = 1,06 mg. Quindi anche quando un bambino è vaccinato con un prodotto contenente formaldeide, la quantità somministrata è al massimo 0,1 mg, mentre nel sangue è naturalmente presente una quantità 10 volte maggiore (1 mg). Occorre sottolineare che i moderni vaccini combinati, ossia gli esavalenti (difterite, tetano, pertosse, poliomielite, Haemophilus, epatite B), i vaccini contro pneumococco e meningococco e inoltre quasi tutti i vaccini disponibili in forma singola o con combinazioni diverse dall’esavalente (quale ad esempio epatite B, epatite A, difterite-tetano-pertosse e altri), oltre a non contenere thiomersal, non contengono formaldeide né altri conservanti precedentemente utilizzati nei prodotti biologici.
9. I vaccini possono causare la sindrome da morte improvvisa del lattante (SIDS, morte in culla)?.
Negli Stati Uniti ogni anno si verificano 1.600 casi di morte improvvisa del lattante (detta anche SIDS = Sudden Infant Death Syndrome). Poiché più del 90% dei bambini riceve diversi vaccini tra 2 e 12 mesi d’età, è stato calcolato che circa 50 casi di SIDS si verifichino entro 24 ore dalla vaccinazione per un semplice effetto del caso. Il fatto che una SIDS si verifichi a breve distanza dalla vaccinazione non implica un rapporto di causaeffetto. Per stabilire questo rapporto occorrono ampi studi epidemiologici, come già detto nel precedente paragrafo 5. Questi studi sono stati effettuati e hanno dimostrato che l’incidenza della SIDS è la stessa sia in presenza che in assenza di vaccinazione (Fleming 2001; Hoffmann 1987; Mitchell 1995). Studi recenti hanno addirittura dimostrato che la vaccinazione diminuisce il rischio di SIDS (Vennemann 2007). Ciò potrebbe essere spiegato con il fatto che una parte dei casi di SIDS osservati in uno studio condotto nel 2004 in Germania era costituito da bambini con pertosse (Heininger 2004): questa malattia può essere infatti molto pericolosa nel lattante.
Recentemente sono stati pubblicati due ampi studi sull’argomento: il primo è lo studio Hera, condotto in Italia, l’altro è lo studio Token, effettuato in Germania.
Lo studio Hera ha valutato il rischio di morte improvvisa dopo vaccinazione nei bambini nati dal 1999 al 2004 (circa 3 milioni di bambini) e non ha riscontrato una possibile relazione causale tra i vaccini somministrati e l’insorgenza di morti improvvise (Traversa 2011).
Lo studio Token ha esaminato 254 casi di morte improvvisa avvenuti in Germania dal luglio 2005 al 2008. I risultati delle varie indagini e analisi indicano che il rischio di morte improvvisa non era aumentato nella settimana dopo la vaccinazione, mentre nella maggior parte dei casi erano presenti fattori di rischio riconosciuti per la sindrome di morte improvvisa del lattante, quali dormire a pancia in giù, fumare in presenza del bambino, surriscaldamento (impianto di riscaldamento impostato su temperature troppo elevate, bambino eccessivamente coperto) (RKI 2011).
Inoltre, in anni recenti, negli Stati Uniti si è verificata una diminuzione delle SIDS, senza che vi fosse una parallela diminuzione dei bambini vaccinati: è bastato un efficace programma di educazione sanitaria della popolazione, al fine di promuovere alcune semplici azioni che servono per ridurre in modo significativo il rischio di SIDS. Tali semplici azioni sono le seguenti:
- far dormire i propri bambini sulla schiena, in posizione supina;
- non fumare durante la gravidanza e dopo la nascita del bambino;
- coprire il bambino con coperte che rimangano ben rimboccate e che non si spostino durante il sonno, in modo che non coprano il viso e la testa del neonato;
- non utilizzare cuscini soffici, o altri materiali che possano soffocare il bambino durante il sonno;
- allattare al seno il bambino nei primi sei mesi di vita;
- far dormire il bambino in un ambiente a temperatura adeguata, né eccessivamente caldo né troppo freddo, e con sufficiente ricambio di ossigeno;
- limitare la contemporanea presenza del bambino nel letto con altre persone durante il sonno: casi di SIDS si sono verificati per soffocamento del bambino da parte della madre o del padre durante il sonno.
Inoltre è stato dimostrato che le vaccinazioni riducono il rischio di SIDS (Heininger 2004, Vennemann 2007).
Qualcosa di analogo si è iniziato a fare anche in Italia, vedi il sito www.genitoripiu.it, che fornisce – tra varie informazioni sulla salute del bambino – anche consigli per la prevenzione della SIDS.
Recentemente sono stati pubblicati due ampi studi sull’argomento: il primo è lo studio Hera, condotto in Italia, l’altro è lo studio Token, effettuato in Germania.
Lo studio Hera ha valutato il rischio di morte improvvisa dopo vaccinazione nei bambini nati dal 1999 al 2004 (circa 3 milioni di bambini) e non ha riscontrato una possibile relazione causale tra i vaccini somministrati e l’insorgenza di morti improvvise (Traversa 2011).
Lo studio Token ha esaminato 254 casi di morte improvvisa avvenuti in Germania dal luglio 2005 al 2008. I risultati delle varie indagini e analisi indicano che il rischio di morte improvvisa non era aumentato nella settimana dopo la vaccinazione, mentre nella maggior parte dei casi erano presenti fattori di rischio riconosciuti per la sindrome di morte improvvisa del lattante, quali dormire a pancia in giù, fumare in presenza del bambino, surriscaldamento (impianto di riscaldamento impostato su temperature troppo elevate, bambino eccessivamente coperto) (RKI 2011).
Inoltre, in anni recenti, negli Stati Uniti si è verificata una diminuzione delle SIDS, senza che vi fosse una parallela diminuzione dei bambini vaccinati: è bastato un efficace programma di educazione sanitaria della popolazione, al fine di promuovere alcune semplici azioni che servono per ridurre in modo significativo il rischio di SIDS. Tali semplici azioni sono le seguenti:
- far dormire i propri bambini sulla schiena, in posizione supina;
- non fumare durante la gravidanza e dopo la nascita del bambino;
- coprire il bambino con coperte che rimangano ben rimboccate e che non si spostino durante il sonno, in modo che non coprano il viso e la testa del neonato;
- non utilizzare cuscini soffici, o altri materiali che possano soffocare il bambino durante il sonno;
- allattare al seno il bambino nei primi sei mesi di vita;
- far dormire il bambino in un ambiente a temperatura adeguata, né eccessivamente caldo né troppo freddo, e con sufficiente ricambio di ossigeno;
- limitare la contemporanea presenza del bambino nel letto con altre persone durante il sonno: casi di SIDS si sono verificati per soffocamento del bambino da parte della madre o del padre durante il sonno.
Inoltre è stato dimostrato che le vaccinazioni riducono il rischio di SIDS (Heininger 2004, Vennemann 2007).
Qualcosa di analogo si è iniziato a fare anche in Italia, vedi il sito www.genitoripiu.it, che fornisce – tra varie informazioni sulla salute del bambino – anche consigli per la prevenzione della SIDS.
10. I vaccini possono provocare l’autismo?
L’autismo è una complessa patologia del sistema nervoso centrale: sono interessate essenzialmente la comunicazione, la socializzazione e il comportamento. La manifestazione più evidente è un grave isolamento: i bambini autistici spesso non rispondono quando sono chiamati per nome, evitano lo sguardo e non sembrano consapevoli dei sentimenti altrui e della realtà che li circonda. In Italia, secondo i più recenti dati Eurispes, sono autistici circa 6-10 bambini su 10.000. Il fenomeno sembra in crescita nei Paesi sviluppati. Non è ancora chiaro se questa crescita sia imputabile a qualche fattore ambientale non ancora conosciuto oppure sia solo apparente, come conseguenza dei progressi nell’accertamento della malattia: recentemente infatti sono stati introdotti dei criteri diagnostici che hanno reso più agevole e precisa la diagnosi di autismo. In tal caso, non sarebbe aumentato l’effettivo numero dei casi, bensì la capacità nel rilevarli.
Uno studio pubblicato in Gran Bretagna nel 1998 sulla rivista Lancet (Wakefield 1998) ipotizzava che il vaccino morbillo-parotite-rosolia (MPR) determinasse un’infiammazione intestinale con conseguente aumento della permeabilità dell’intestino, seguita dall’ingresso nel sangue di sostanze tossiche in grado di danneggiare il cervello e determinare l’autismo. Appena pubblicato, lo studio fu criticato perché presentava dei difetti: si basava soltanto su 12 bambini, non teneva conto del fatto che il 90% dei bimbi britannici era vaccinato con MPR alla stessa età in cui generalmente l’autismo è diagnosticato e infine non metteva a confronto la frequenza dell’autismo tra i vaccinati e i non vaccinati. Alcuni anni dopo una parte degli autori dello studio ne ritrattò le conclusioni, prendendo le distanze dallo studio con una dichiarazione pubblicata su Lancet (Murch 2004).
Nel 2002 lo stesso autore pubblicò un secondo articolo (Uhlmann, Wakefield 2002): in questo nuovo studio veniva ricercata la presenza del materiale genetico del virus del morbillo (RNA) in biopsie intestinali ottenute da bambini autistici e sani. Lo studio riportava che il materiale genetico del virus (RNA) risultava presente nella maggioranza dei bambini autistici e solo in una piccola parte dei sani. Lo studio tuttavia non teneva conto del fatto che il vaccino del morbillo è vivo attenuato, e quindi normalmente si moltiplica nelle cellule del vaccinato.
Quando inizia a replicarsi, il virus viene aggredito da cellule del sistema immunitario che si trovano ovunque nell’organismo: nessuno si stupirebbe quindi di trovarlo nell’intestino, o altrove. Per cercare il materiale genetico del virus nelle biopsie è stato usato un esame di laboratorio chiamato RT-PCR. Durante un procedimento giudiziario condotto successivamente (United States Court of Federal Claims, 2007), un collaboratore di Wakefield, di nome Nick Chadwick, rivelò che i risultati dei test tramite RT-PCR erano stati volontariamente alterati da Wakefield.
Che interesse aveva Andrew Wakefield a falsificare i dati? E’ emerso che il suo studio aveva ricevuto un finanziamento da parte di un gruppo di avvocati di famiglie con bambini autistici che intendevano intraprendere un’azione legale di risarcimento; in secondo luogo, Wakefield nel 1997 (quindi prima che fosse pubblicato lo studio) aveva depositato un brevetto per un nuovo farmaco che a suo dire fungeva sia da vaccino contro il morbillo sia da terapia contro le malattie infiammatorie intestinali (colite ulcerosa e malattia di Crohn).
In una serie di articoli pubblicati sul British Medical Journal nel 2011, il giornalista Brian Deer ha dimostrato che Wakefield aveva costruito una vera e propria frode scientifica. Basandosi su interviste, documenti e dati resi pubblici durante le audizioni del General Medical Council (l’Ordine dei Medici britannico), Deer mostra come Wakefield avesse alterato numerosi fatti nella storia medica dei pazienti al fine di sostenere la sua tesi (Godlee 2011). Andrew Wakefield a causa di questa vicenda è stato radiato dall’albo dei medici e non può più esercitare la professione in Gran Bretagna.
Sempre riguardo all’autismo, alcuni hanno ipotizzato che il mercurio, contenuto nel conservante thiomersal (o thimerosal) utilizzato sino ad alcuni anni fa nei vaccini, possa essere responsabile di questa malattia. Diversi studi hanno evidenziato che tale ipotesi non è credibile, in base alle seguenti considerazioni (Nelson, Bauman 2003):
• i sintomi dell’autismo e quelli dell’intossicazione da mercurio non coincidono;
• nelle intossicazioni lievi da mercurio non sempre sono presenti sintomi psichici e, quando presenti, sono aspecifici;
• i reperti anatomopatologici sono differenti nelle due malattie;
• le indagini sulle conseguenze a lungo termine nelle popolazioni in cui si è verificata un’intossicazione da mercurio da esposizione ambientale, non hanno messo in evidenza un conseguente aumento dei casi di autismo;
• l’esposizione a piccole dosi per lunghi periodi correlata con la dieta a base di pesce (bambini residenti alle Seychelles e nelle isole Faroe) non è risultata associata ad un aumentato rischio di autismo;
• il passaggio dell’etilmercurio (contenuto nei vaccini) attraverso la barriera ematoencefalica è più difficoltoso del passaggio del metilmercurio (=il composto responsabile dell’esposizione ambientale al mercurio) perché solo per quest’ultimo esiste un sistema di trasporto attivo, che invece nel caso dell’etilmercurio è assente; ciò significa che a parità dei livelli di assunzione, la concentrazione di etilmercurio a livello cerebrale risulta inferiore.
Esistono 5 grandi studi che hanno confrontato il rischio di autismo nei bambini che avevano ricevuto vaccini contenenti thiomersal con bambini che avevano ricevuto vaccini senza questo conservante: l’incidenza dell’autismo era la stessa nei due gruppi (Hviid 2003; Verstraeten 2003; Heron 2004; Andrews 2004; Fombonne 2006).
Se quindi possiamo escludere che il thiomersal possa aver causato l’autismo nei soggetti vaccinati utilizzando tale conservante, è possibile che le piccole quantità di mercurio iniettate con i vaccini abbiano determinato danni anche minimi o impercettibili al cervello? La risposta a questa domanda proviene da uno studio effettuato su bambini nati tra il 1993 e il 1997, sottoposti a test neuropsicologici piuttosto complessi, in grado di mettere in evidenza alterazioni anche minime del Sistema nervoso centrale. Il risultato di questi test (effettuati tra i 7 e i 10 anni di età) è stato confrontato con il livello di esposizione al mercurio durante il periodo prenatale, neonatale e nei primi 7 mesi di vita. Lo studio conclude che l’esposizione al mercurio contenuto nel thiomersal non è associato a deficit delle funzioni neuropsicologiche (Thompson 2007). Risultati analoghi sono emersi da uno studio condotto in Italia su alcune migliaia di bambini (Tozzi 2009).
In realtà gli studi concordano sul fatto che le cause dell’autismo debbano essere ricercate nel periodo prenatale (Offit 2008), infatti si è osservato che:
a. l’autismo è molto frequente nei gemelli identici, quindi la sua origine potrebbe essere condizionata da fattori genetici;
b. le prime settimane di gravidanza rappresentano un periodo vulnerabile durante il quale alcuni fattori ambientali aumentano il rischio di autismo. I figli delle donne che avevano assunto un farmaco denominato talidomide nelle prime fasi della gravidanza, hanno manifestato l’autismo più frequentemente dei nati da donne che non avevano assunto quel farmaco (Chess 1978). Inoltre, i figli delle donne che hanno avuto la rosolia nelle prime settimane di gravidanza, oltre presentare malformazioni congenite, sviluppano più facilmente l’autismo (Strömland 1994).
Le convulsioni (con o senza febbre) sono descritte tra gli eventi rari o molto rari dopo una vaccinazione. Va sottolineato che le convulsioni sono una manifestazione comune a diverse condizioni cliniche (alcuni bambini sono soggetti a convulsioni in caso di febbre da qualsiasi causa), mentre l’epilessia è una ben precisa entità che può manifestarsi anche (ma non solo) con crisi convulsive. Nella letteratura scientifica non è stato messo in evidenza un rapporto tra somministrazione dei comuni vaccini pediatrici e quadri clinici di epilessia. Sebbene alcune forme di epilessia possano iniziare in concomitanza con le vaccinazioni, queste non sono annoverate tra le possibili cause di epilessia (Barlow 2001, Huang 2010). Inoltre, l’epilessia o le encefalopatie non sono incluse tra le possibili reazioni causate dai vaccini attualmente in uso (Wiznitzer 2010).
Bisogna infine ricordare che normalmente l’epilessia si manifesta nel primo anno di vita (Allen Hauser 2007), stessa età in cui oltre il 95% dei bambini effettua il ciclo di base delle vaccinazioni previste dai vigenti calendari vaccinali: la coincidenza tra il primo episodio di convulsione e la vaccinazione potrebbe essere quindi erroneamente interpretata come un rapporto causa-effetto.
12. I vaccini possono causare encefalite o encefalopatia?
In passato la vaccinazione contro la pertosse era stata sospettata di causare un’encefalopatia caratterizzata dall’insorgenza di crisi convulsive e di un successivo deficit intellettivo. Uno studio aveva dimostrato che la maggior parte dei pazienti con diagnosi di encefalopatia post-vaccinale erano in realtà affetti da epilessia mioclonica severa dell'infanzia (sindrome di Dravet). Di questi, il 70-80% presentava mutazioni di un gene denominato SCN1A, che serve per la formazione dei canali che nelle cellule nervose trasportano ioni sodio e rivestono quindi un ruolo fondamentale nella trasmissione dell’impulso nervoso. Una ricerca condotta nel 2010 (McIntosh 2010) ha dimostrato che la vaccinazione non è la causa della sindrome di Dravet; in questi bambini la mutazione del gene SCN1A si produce nel corso dello sviluppo embrionale, durante la gravidanza, e la patologia prima o poi si manifesta, anche in assenza di vaccinazione. Talvolta la vaccinazione rappresenta l’evento scatenante dei sintomi, ma questi si manifestano comunque, anche in seguito ad eventi banali come un episodio febbrile o una lieve infezione.
Studi epidemiologici non hanno riscontrato un’associazione tra vaccinazioni pediatriche ed encefalite (Mäkelä 2002, Ray 2006). Il più recente è uno studio condotto sui dati del California Encephalitis Project raccolti durante dieci anni, dal 1998 al 2008: non è stato osservato alcun aumento del rischio di encefalite dopo la somministrazione dei vaccini, inclusi quelli contro la pertosse ed il morbillo (Pahud 2012).
Studi epidemiologici non hanno riscontrato un’associazione tra vaccinazioni pediatriche ed encefalite (Mäkelä 2002, Ray 2006). Il più recente è uno studio condotto sui dati del California Encephalitis Project raccolti durante dieci anni, dal 1998 al 2008: non è stato osservato alcun aumento del rischio di encefalite dopo la somministrazione dei vaccini, inclusi quelli contro la pertosse ed il morbillo (Pahud 2012).
13. I vaccini aumentano il rischio di sviluppare allergie e asma?
Il timore che le vaccinazioni possano favorire lo sviluppo di allergie nel bambino è uno dei motivi che spingono alcuni genitori a rifiutarle.
Gli oppositori delle vaccinazioni spesso usano questo argomento per dissuadere i genitori a vaccinare; il loro ragionamento è il seguente: negli ultimi decenni c’è stato un sensibile aumento delle allergie nei bambini e nello stesso periodo è aumentato il numero di vaccini somministrati, quindi tra i due fenomeni ci deve essere un rapporto. Per affermare che tra i due fenomeni c’è un rapporto bisogna dimostrarlo scientificamente. In assenza di una dimostrazione scientifica, questa spiegazione non ha nessuna credibilità e al massimo può essere considerata un’opinione. Poiché negli anni scorsi sono stati condotti diversi studi per valutare questa ipotesi, possiamo affermare che sino ad ora essa non è stata dimostrata. E’ stato invece dimostrato il contrario, ossia le vaccinazioni praticate in età pediatrica non aumentano il rischio di sviluppare allergie e asma (Nilsson 1998, Henderson 1999, Destefano 2002, Mullooly 2002, Grüber 2001, Nakajima 2007, Grüber 2008, Schmitz 2011).
Un dato interessante proviene dalla Germania: prima della riunificazione (avvenuta nel 1989) i bambini residenti nei due Stati tedeschi avevano livelli differenti di copertura vaccinale: nella Germania Est la percentuale dei vaccinati era significativamente più alta che nella Germania Ovest. Se la teoria delle allergie favorite dalle vaccinazioni fosse corretta, ci saremmo dovuti aspettare una più alta prevalenza di bambini allergici nella Germania Est. Invece è accaduto il contrario: gli allergici erano più numerosi a Ovest (Schneeweiss 2008). Evidentemente per spiegare l’alta prevalenza delle allergie nei Paesi occidentali è necessario trovare fattori di rischio differenti dalle vaccinazioni.
Un dato interessante proviene dalla Germania: prima della riunificazione (avvenuta nel 1989) i bambini residenti nei due Stati tedeschi avevano livelli differenti di copertura vaccinale: nella Germania Est la percentuale dei vaccinati era significativamente più alta che nella Germania Ovest. Se la teoria delle allergie favorite dalle vaccinazioni fosse corretta, ci saremmo dovuti aspettare una più alta prevalenza di bambini allergici nella Germania Est. Invece è accaduto il contrario: gli allergici erano più numerosi a Ovest (Schneeweiss 2008). Evidentemente per spiegare l’alta prevalenza delle allergie nei Paesi occidentali è necessario trovare fattori di rischio differenti dalle vaccinazioni.
14. Quali sono i reali rischi da vaccinazione?
I vaccini sono tra i farmaci più sicuri che abbiamo a disposizione. Questa potrebbe sembrare una frase fatta, che i medici pronunciano per rassicurare i genitori. In realtà essa esprime una conclusione che si basa sui seguenti dati:
a) i vaccini sono prodotti con tecnologie che ne permettono un’ottimale purificazione;
b) prima di essere messi in commercio, vengono sottoposti a numerosi studi e ricerche per evidenziarne l’efficacia e la massima sicurezza (nessuno dimentica che si tratta di farmaci molto particolari, che vengono somministrati a milioni di bambini sani);
c) gli esami per i vaccini non finiscono mai: anche dopo la loro commercializzazione viene studiata la loro sicurezza e il loro impatto sulla popolazione. In particolare per quanto riguarda la sicurezza, ogni volta che emerge l’ipotesi relativa ad un effetto collaterale importante, inizia una serie di studi epidemiologici che hanno lo scopo di verificare la fondatezza dell’ipotesi.
Ciò è accaduto più volte negli ultimi anni (vedi per esempio le sezioni dedicate all’autismo e al mercurio).
Naturalmente i vaccini, come tutti i farmaci, possono essere accompagnati da effetti collaterali.
A parte le reazioni banali come la febbre o l’irritabilità, sono descritte reazioni estremamente rare, come le reazioni allergiche gravi (shock anafilattico): quest’ultimo compare in genere immediatamente o entro pochi minuti dalla vaccinazione. E’ sufficiente, dopo la vaccinazione, rimanere per almeno 15 minuti nella sala d’attesa dell’ambulatorio vaccinale, che è attrezzato per il trattamento di questo tipo di reazioni. Possono verificarsi altre rarissime complicazioni: per esempio la diminuzione delle piastrine (piastrinopenia) in seguito alla vaccinazione morbillo, parotite e rosolia è possibile in 1 caso ogni 30.000 vaccinati, ma la sua frequenza è 10 volte maggiore dopo la malattia naturale. Altre rare complicazioni sono le convulsioni febbrili o l’episodio ipotonico-iporesponsivo (evento caratterizzato da diminuzione dello stato di vigilanza o perdita di coscienza accompagnata da pallore e riduzione del tono muscolare, ad insorgenza improvvisa entro le 48 ore dalla vaccinazione, della durata generalmente da 1 a 30 minuti), osservati in particolare dopo la somministrazione dei vaccini contro la pertosse. E’ tuttavia necessario confrontare questi rischi con i rischi derivanti dalla malattia: per esempio sia il morbillo che la pertosse sono causa di convulsioni con una frequenza enormemente superiore a quella dei vaccini. In più, la pertosse e il morbillo possono causare danni neurologici gravi e permanenti.
Le rarissime reazioni gravi che si verificano hanno generalmente una risonanza enorme, che induce a dimenticare i dati su malattie, complicazioni e morti che vengono prevenute con le vaccinazioni. Purtroppo a volte la nostra mente ci porta a temere maggiormente un rischio teorico o ipotetico piuttosto che un rischio reale e tangibile.
a) i vaccini sono prodotti con tecnologie che ne permettono un’ottimale purificazione;
b) prima di essere messi in commercio, vengono sottoposti a numerosi studi e ricerche per evidenziarne l’efficacia e la massima sicurezza (nessuno dimentica che si tratta di farmaci molto particolari, che vengono somministrati a milioni di bambini sani);
c) gli esami per i vaccini non finiscono mai: anche dopo la loro commercializzazione viene studiata la loro sicurezza e il loro impatto sulla popolazione. In particolare per quanto riguarda la sicurezza, ogni volta che emerge l’ipotesi relativa ad un effetto collaterale importante, inizia una serie di studi epidemiologici che hanno lo scopo di verificare la fondatezza dell’ipotesi.
Ciò è accaduto più volte negli ultimi anni (vedi per esempio le sezioni dedicate all’autismo e al mercurio).
Naturalmente i vaccini, come tutti i farmaci, possono essere accompagnati da effetti collaterali.
A parte le reazioni banali come la febbre o l’irritabilità, sono descritte reazioni estremamente rare, come le reazioni allergiche gravi (shock anafilattico): quest’ultimo compare in genere immediatamente o entro pochi minuti dalla vaccinazione. E’ sufficiente, dopo la vaccinazione, rimanere per almeno 15 minuti nella sala d’attesa dell’ambulatorio vaccinale, che è attrezzato per il trattamento di questo tipo di reazioni. Possono verificarsi altre rarissime complicazioni: per esempio la diminuzione delle piastrine (piastrinopenia) in seguito alla vaccinazione morbillo, parotite e rosolia è possibile in 1 caso ogni 30.000 vaccinati, ma la sua frequenza è 10 volte maggiore dopo la malattia naturale. Altre rare complicazioni sono le convulsioni febbrili o l’episodio ipotonico-iporesponsivo (evento caratterizzato da diminuzione dello stato di vigilanza o perdita di coscienza accompagnata da pallore e riduzione del tono muscolare, ad insorgenza improvvisa entro le 48 ore dalla vaccinazione, della durata generalmente da 1 a 30 minuti), osservati in particolare dopo la somministrazione dei vaccini contro la pertosse. E’ tuttavia necessario confrontare questi rischi con i rischi derivanti dalla malattia: per esempio sia il morbillo che la pertosse sono causa di convulsioni con una frequenza enormemente superiore a quella dei vaccini. In più, la pertosse e il morbillo possono causare danni neurologici gravi e permanenti.
Le rarissime reazioni gravi che si verificano hanno generalmente una risonanza enorme, che induce a dimenticare i dati su malattie, complicazioni e morti che vengono prevenute con le vaccinazioni. Purtroppo a volte la nostra mente ci porta a temere maggiormente un rischio teorico o ipotetico piuttosto che un rischio reale e tangibile.
Le medicine alternative, inclusa l’omeopatia, non sono incompatibili con la medicina cosiddetta “convenzionale”.
L’Associazione Britannica di Omeopatia (British Homeopathic Association) e la Facoltà di Omeopatia (Faculty of Homoeopathy), con sede a Londra, sono due autorevoli istituzioni, collegate tra loro, che riuniscono i cultori di questa materia, oltre ad occuparsi di formazione e attività scientifiche in campo omeopatico.
Nel sito internet della British Homoeopathic Association (Associazione Omeopatica Britannica) è riportata la posizione ufficiale dell’Associazione. Il documento è stato redatto da esperti della Facoltà di Omeopatia. Il testo originale è disponibile nel sito della British Homoeopathic Association tramite il seguente link:
www.britishhomeopathic.org/export/sites/bha_site/how_we_can_help/advice_sheets/immunisation_factsheet-2-1.pdf
Di seguito, in corsivo, riportiamo la traduzione del testo, dal titolo Omeopatia e vaccinazione:
Bilanciare i rischi Non ci sono scelte libere da rischi quando si tratta di decidere in merito alla vaccinazione. Deve essere presa una decisione che bilancia da un lato i rischi di subire un danno a causa di una data malattia e dall’altro i rischi di subire un danno a causa di una vaccinazione.
Rischio di malattia Quali sono i rischi di contrarre una particolare malattia infettiva? I rischi riguardano le possibilità di entrare in contatto con un determinato germe, la capacità di questo germe di far ammalare e lo stato di salute generale dell’individuo. Non tutte le persone presentano lo stesso rischio. I bambini molto piccoli, i bambini con una malattia cronica ed i bambini che vivono in povertà hanno tutti maggiori rischi sia di essere infettati sia di subire dei danni a causa di un’infezione. La possibilità di contrarre una particolare malattia infettiva è fortemente influenzata dal numero delle persone vaccinate che vivono nella stessa comunità.
Rischi legati alla vaccinazione La vaccinazione non deve essere somministrata a soggetti con malattia in atto o a coloro che stanno cercando di combattere un’infezione in corso. I problemi più comuni con i vaccini sono temporanee reazioni locali, che possono presentarsi entro pochi giorni dall'iniezione. Più volte sono stati sospettati problemi a lungo termine e le problematiche sono diverse a seconda del tipo di vaccino, ma nel complesso gli esperti in Medicina concordano che non vi sono prove significative di frequenti e gravi effetti collaterali a lungo termine con i vaccini attualmente in uso.
Il ruolo della medicina omeopatica L'omeopatia può essere un modo appropriato per trattare gli effetti negativi di una vaccinazione. Può anche essere usata per contribuire a trattare le malattie infettive contratte da persone le cui condizioni di salute controindicano la vaccinazione.
Non vi sono sostituti omeopatici della vaccinazione di dimostrata efficacia. Alcuni hanno suggerito di usare 'nosodi' (preparazioni omeopatiche dei germi che causano le malattie). Attualmente non vi è alcuna prova che i nosodi siano efficaci negli esseri umani. Affidarsi ai nosodi anziché alla vaccinazione può creare un falso senso di sicurezza, dal momento che l'efficacia non è provata.
Trattare le epidemie
Farmaci omeopatici prescritti da professionisti specificamente formati possono trattare con successo epidemie di malattie infettive, anche dove non ci sono altre alternative. Per esempio, i farmaci omeopatici hanno dimostrato di alleviare e ridurre la durata dei sintomi durante le epidemie di influenza.
Farmaci costituzionali
Il medico potrà prescrivere una medicina omeopatica che è stata individualmente selezionata per voi. Il farmaco può aumentare il vostro benessere generale e lo stato di salute, rendendo meno probabile contrarre un’infezione oppure aiutandovi a ristabilirvi più velocemente qualora vi ammalaste. Questa è nota come prescrizione di un farmaco costituzionale.
In sintesi sempre l’associazione britannica di omeopatia:
Alla fine, la decisione è vostra, ma discutere le vostre ansie o paure con un medico può aiutarvi a decidere, sulla base delle migliori informazioni disponibili. Un elenco di medici formati in omeopatia è disponibile sul nostro sito web www.britishhomeopathic.org/ La Facoltà di Omeopatia segue le linee guida sulla vaccinazione del Dipartimento della Salute [l’equivalente del Ministero della Salute in Italia, nota del traduttore] e raccomanda che la vaccinazione sia effettuata normalmente, a meno che non siano presenti controindicazioni mediche.
L’Associazione Britannica di Omeopatia (British Homeopathic Association) e la Facoltà di Omeopatia (Faculty of Homoeopathy), con sede a Londra, sono due autorevoli istituzioni, collegate tra loro, che riuniscono i cultori di questa materia, oltre ad occuparsi di formazione e attività scientifiche in campo omeopatico.
Nel sito internet della British Homoeopathic Association (Associazione Omeopatica Britannica) è riportata la posizione ufficiale dell’Associazione. Il documento è stato redatto da esperti della Facoltà di Omeopatia. Il testo originale è disponibile nel sito della British Homoeopathic Association tramite il seguente link:
www.britishhomeopathic.org/export/sites/bha_site/how_we_can_help/advice_sheets/immunisation_factsheet-2-1.pdf
Di seguito, in corsivo, riportiamo la traduzione del testo, dal titolo Omeopatia e vaccinazione:
Bilanciare i rischi Non ci sono scelte libere da rischi quando si tratta di decidere in merito alla vaccinazione. Deve essere presa una decisione che bilancia da un lato i rischi di subire un danno a causa di una data malattia e dall’altro i rischi di subire un danno a causa di una vaccinazione.
Rischio di malattia Quali sono i rischi di contrarre una particolare malattia infettiva? I rischi riguardano le possibilità di entrare in contatto con un determinato germe, la capacità di questo germe di far ammalare e lo stato di salute generale dell’individuo. Non tutte le persone presentano lo stesso rischio. I bambini molto piccoli, i bambini con una malattia cronica ed i bambini che vivono in povertà hanno tutti maggiori rischi sia di essere infettati sia di subire dei danni a causa di un’infezione. La possibilità di contrarre una particolare malattia infettiva è fortemente influenzata dal numero delle persone vaccinate che vivono nella stessa comunità.
Rischi legati alla vaccinazione La vaccinazione non deve essere somministrata a soggetti con malattia in atto o a coloro che stanno cercando di combattere un’infezione in corso. I problemi più comuni con i vaccini sono temporanee reazioni locali, che possono presentarsi entro pochi giorni dall'iniezione. Più volte sono stati sospettati problemi a lungo termine e le problematiche sono diverse a seconda del tipo di vaccino, ma nel complesso gli esperti in Medicina concordano che non vi sono prove significative di frequenti e gravi effetti collaterali a lungo termine con i vaccini attualmente in uso.
Il ruolo della medicina omeopatica L'omeopatia può essere un modo appropriato per trattare gli effetti negativi di una vaccinazione. Può anche essere usata per contribuire a trattare le malattie infettive contratte da persone le cui condizioni di salute controindicano la vaccinazione.
Non vi sono sostituti omeopatici della vaccinazione di dimostrata efficacia. Alcuni hanno suggerito di usare 'nosodi' (preparazioni omeopatiche dei germi che causano le malattie). Attualmente non vi è alcuna prova che i nosodi siano efficaci negli esseri umani. Affidarsi ai nosodi anziché alla vaccinazione può creare un falso senso di sicurezza, dal momento che l'efficacia non è provata.
Trattare le epidemie
Farmaci omeopatici prescritti da professionisti specificamente formati possono trattare con successo epidemie di malattie infettive, anche dove non ci sono altre alternative. Per esempio, i farmaci omeopatici hanno dimostrato di alleviare e ridurre la durata dei sintomi durante le epidemie di influenza.
Farmaci costituzionali
Il medico potrà prescrivere una medicina omeopatica che è stata individualmente selezionata per voi. Il farmaco può aumentare il vostro benessere generale e lo stato di salute, rendendo meno probabile contrarre un’infezione oppure aiutandovi a ristabilirvi più velocemente qualora vi ammalaste. Questa è nota come prescrizione di un farmaco costituzionale.
In sintesi sempre l’associazione britannica di omeopatia:
Alla fine, la decisione è vostra, ma discutere le vostre ansie o paure con un medico può aiutarvi a decidere, sulla base delle migliori informazioni disponibili. Un elenco di medici formati in omeopatia è disponibile sul nostro sito web www.britishhomeopathic.org/ La Facoltà di Omeopatia segue le linee guida sulla vaccinazione del Dipartimento della Salute [l’equivalente del Ministero della Salute in Italia, nota del traduttore] e raccomanda che la vaccinazione sia effettuata normalmente, a meno che non siano presenti controindicazioni mediche.
16. Per far scomparire una malattia non è sufficiente il miglioramento delle condizioni igienicosanitarie di una popolazione?
Alcuni pensano che le attuali elevate condizioni di nutrizione e di igiene della nostra popolazione, di per sé costituiscano un ostacolo alla diffusione delle malattie infettive o al manifestarsi delle complicazioni che a queste malattie possono far seguito. C’è chi ritiene che la scomparsa di malattie come la poliomielite o la difterite nei Paesi sviluppati non sia dovuta alla vaccinazione, ma alle migliorate condizioni di vita. Se questa spiegazione fosse corretta, la diminuzione dei casi di una malattia infettiva si verificherebbe gradualmente, senza bruschi cambiamenti. Se però andiamo a vedere che cosa è accaduto in Italia con la poliomielite, ci accorgiamo che non è così.
L’inizio della vaccinazione estesa a tutti i bambini risale alla primavera del 1964 (Assael 1995). Nel 1963 i casi di poliomielite erano stati 2.830. Nel 1964 erano già scesi a 842. Nel 1965 erano 254. Nel 1966 erano 148 e così via sino ad arrivare a 0 casi a partire dagli anni 80.
Come avrebbe potuto il miglioramento delle condizioni di vita ridurre di 10 volte in soli 2 anni il numero dei casi di polio?
Un altro esempio è quello del morbillo: tuttora, come abbiamo scritto nel paragrafo 2.e, in Europa continuano a verificarsi casi di morbillo, a causa di un’insufficiente adesione alla vaccinazione. Tra i Paesi maggiormente colpiti, in cui continuano a verificarsi decessi e ricoveri ospedalieri per complicazioni del morbillo, troviamo Italia, Francia, Germania, Svizzera, Austria e Gran Bretagna, tutte realtà in cui le condizioni di vita ed il livello igienico-sanitario della popolazione sono elevati.
Alla fine degli anni ‘90 la Gran Bretagna ha visto un considerevole aumento dei casi di meningite e sepsi da meningococco, con un numero rilevante di decessi. I casi di malattia erano dovuti a due tipi distinti di meningococco, denominati B e C.
Per fronteggiare questa situazione, che stava diventando molto preoccupante, è stato approntato un vaccino specifico contro il meningococco C, mentre non è stato possibile approntare un vaccino contro il meningococco B a causa di importanti difficoltà tecniche (nel momento in cui scriviamo [gennaio 2012] tali difficoltà sono state risolte ed è piuttosto vicina la registrazione di un vaccino contro il meningococco B). Il vaccino contro il meningococco C si avvale di una particolare tecnologia di preparazione, che lo rende molto efficace anche nel lattante ed è in grado di conferire un’immunità duratura. Il programma di vaccinazione è iniziato nel novembre del 1999: il vaccino è stato somministrato a quasi tutta la popolazione britannica dai 2 mesi ai 18 anni di età.
L’andamento dei casi da meningococco B è rimasto immutato, con un’alternanza di periodi di maggiore e minore incidenza. Al contrario, si assiste ad una progressiva diminuzione dei casi dovuti al meningococco C, successivamente all’introduzione del vaccino.
Quale può essere la causa della notevole diminuzione dei casi da meningococco C se non la vaccinazione?
Stiamo parlando della Gran Bretagna, un Paese avanzato e moderno, che quindi non ha avuto cambiamenti importanti nella situazione igienico sanitaria dopo il novembre 1999. L’unico fatto nuovo è stato lo sviluppo del programma di vaccinazione contro il meningococco C.
L’inizio della vaccinazione estesa a tutti i bambini risale alla primavera del 1964 (Assael 1995). Nel 1963 i casi di poliomielite erano stati 2.830. Nel 1964 erano già scesi a 842. Nel 1965 erano 254. Nel 1966 erano 148 e così via sino ad arrivare a 0 casi a partire dagli anni 80.
Come avrebbe potuto il miglioramento delle condizioni di vita ridurre di 10 volte in soli 2 anni il numero dei casi di polio?
Un altro esempio è quello del morbillo: tuttora, come abbiamo scritto nel paragrafo 2.e, in Europa continuano a verificarsi casi di morbillo, a causa di un’insufficiente adesione alla vaccinazione. Tra i Paesi maggiormente colpiti, in cui continuano a verificarsi decessi e ricoveri ospedalieri per complicazioni del morbillo, troviamo Italia, Francia, Germania, Svizzera, Austria e Gran Bretagna, tutte realtà in cui le condizioni di vita ed il livello igienico-sanitario della popolazione sono elevati.
Alla fine degli anni ‘90 la Gran Bretagna ha visto un considerevole aumento dei casi di meningite e sepsi da meningococco, con un numero rilevante di decessi. I casi di malattia erano dovuti a due tipi distinti di meningococco, denominati B e C.
Per fronteggiare questa situazione, che stava diventando molto preoccupante, è stato approntato un vaccino specifico contro il meningococco C, mentre non è stato possibile approntare un vaccino contro il meningococco B a causa di importanti difficoltà tecniche (nel momento in cui scriviamo [gennaio 2012] tali difficoltà sono state risolte ed è piuttosto vicina la registrazione di un vaccino contro il meningococco B). Il vaccino contro il meningococco C si avvale di una particolare tecnologia di preparazione, che lo rende molto efficace anche nel lattante ed è in grado di conferire un’immunità duratura. Il programma di vaccinazione è iniziato nel novembre del 1999: il vaccino è stato somministrato a quasi tutta la popolazione britannica dai 2 mesi ai 18 anni di età.
L’andamento dei casi da meningococco B è rimasto immutato, con un’alternanza di periodi di maggiore e minore incidenza. Al contrario, si assiste ad una progressiva diminuzione dei casi dovuti al meningococco C, successivamente all’introduzione del vaccino.
Quale può essere la causa della notevole diminuzione dei casi da meningococco C se non la vaccinazione?
Stiamo parlando della Gran Bretagna, un Paese avanzato e moderno, che quindi non ha avuto cambiamenti importanti nella situazione igienico sanitaria dopo il novembre 1999. L’unico fatto nuovo è stato lo sviluppo del programma di vaccinazione contro il meningococco C.
17. Mio figlio potrebbe avere un’immunità naturale contro il tetano? Esiste un esame di
laboratorio per saperlo
E’ accaduto che alcuni genitori decidessero di testare la quantità di anticorpi contro il tetano nel sangue dei loro figli non vaccinati, nella speranza di evitare la vaccinazione qualora il risultato fosse stato positivo. In effetti molti laboratori hanno i reagenti per effettuare questo esame, ma la domanda fondamentale è: esiste un livello di anticorpi nel sangue tale da garantire che un individuo è protetto dal tetano? La questione non è semplice, per varie ragioni:
a. convenzionalmente si indica come protettiva una concentrazione pari a 0,01 UI/ml. Questo dato è ricavato dai test di neutralizzazione in vivo, cioè effettuati sull’animale da esperimento. Normalmente i laboratori utilizzano invece i test in vitro, cioè in provetta. C’è corrispondenza tra il dato ottenuto in vivo e quello in vitro?
Non in tutti i casi, dipende infatti dal tipo di test;
b. i test in vitro per dosare gli anticorpi contro il tetano non sono tutti uguali: ecco perché un risultato di 0,01 UI/ml può essere protettivo se ottenuto con un test e non protettivo con un altro test. Con alcune metodiche il livello considerato protettivo è 10 volte più alto, cioè pari a 0,1 UI/ml;
c. sono stati descritti casi di tetano in pazienti che avevano livelli di anticorpo superiori a 0,01 UI/ml. Sono state formulate due ipotesi: a) il test in vitro ha sovrastimato il titolo anticorpale (ciò è possibile se non si usa una particolare metodica chiamata "ELISA modificato"); b) la quantità di tossina prodotta era molto elevata, pertanto il livello di anticorpo, benché superiore alla soglia protettiva, non é risultato sufficiente (Wassilak 2008).
L’obiettivo della vaccinazione e dai periodici richiami è di produrre livelli di anticorpo molto elevati che, in quanto tali, conferiscono un’adeguata protezione contro il tetano. Se, anziché dosare gli anticorpi, si somministrano sia il vaccino sia i richiami, si ottengono concentrazioni di anticorpo costantemente elevate in grado di scongiurare la minaccia del tetano (Borrow 2007).
Un referto di laboratorio che riporta un valore pari o di poco superiore a quello protettivo non garantisce nulla e chi diffonde un'informazione di questo tipo non ha evidentemente interpretato in modo corretto i dati di letteratura sugli aspetti immunologici del tetano. Tale interpretazione è potenzialmente in grado di produrre dei danni, a causa del senso di falsa sicurezza che alcuni genitori possono sviluppare in presenza di un dato di laboratorio che attesti un livello teoricamente protettivo (sempre che la metodica utilizzata sia affidabile, giacché alcune metodiche sovrastimano il livello degli anticorpi contro la tossina tetanica).
Ma esiste davvero l’immunità naturale contro il tetano? Uno studio avrebbe rilevato il ruolo di precarie condizioni di vita nell'acquisizione di tale immunità, registrando - tra i non vaccinati - livelli anticorpali più elevati nei bambini con basso status socio-economico rispetto ai bambini della classe media in San Paolo del Brasile (Veronesi 1975). Anticorpi protettivi sono stati rilevati in profughi non vaccinati provenienti dall'Etiopia e immigrati in Israele (Matzkin 1985). Tuttavia, anche ammettendo l'esistenza di una possibile immunità naturale, questa sembrerebbe acquisita a causa di condizioni di vita piuttosto disagiate, ben lontane dai nostri
attuali standard occidentali. Occorre inoltre sottolineare che la tossina del tetano non è normalmente in grado di provocare una risposta immunitaria da parte dell’organismo, neppure in coloro che hanno superato il tetano: questi pazienti infatti, una volta guariti, devono essere vaccinati.
La teoria dell’immunità naturale verso il tetano mostra alcuni punti deboli (Borrow 2007): il fatto che alcuni studi abbiano dimostrato la presenza di anticorpi anti-tetano in persone che si dichiarano non vaccinate non può escludere la possibilità di una precedente somministrazione del vaccino (in assenza di registri di vaccinazione, come spesso accade nei Paesi in via di sviluppo); inoltre vi sono studi che hanno trovato anticorpi anti-tetano probabilmente dovuti alla reazione crociata con altri antigeni. Studi in bambini africani, reclute indiane, persone che lavoravano a contatto con i cavalli (che normalmente albergano spore tetaniche nell’intestino), donne in gravidanza (Nuova Guinea), persone sane (Burkina Faso) hanno dimostrato che le popolazioni dei Paesi in via di sviluppo con un elevato livello di esposizione alle spore di tetano non hanno anticorpi anti-tetano (Borrow 2007).
a. convenzionalmente si indica come protettiva una concentrazione pari a 0,01 UI/ml. Questo dato è ricavato dai test di neutralizzazione in vivo, cioè effettuati sull’animale da esperimento. Normalmente i laboratori utilizzano invece i test in vitro, cioè in provetta. C’è corrispondenza tra il dato ottenuto in vivo e quello in vitro?
Non in tutti i casi, dipende infatti dal tipo di test;
b. i test in vitro per dosare gli anticorpi contro il tetano non sono tutti uguali: ecco perché un risultato di 0,01 UI/ml può essere protettivo se ottenuto con un test e non protettivo con un altro test. Con alcune metodiche il livello considerato protettivo è 10 volte più alto, cioè pari a 0,1 UI/ml;
c. sono stati descritti casi di tetano in pazienti che avevano livelli di anticorpo superiori a 0,01 UI/ml. Sono state formulate due ipotesi: a) il test in vitro ha sovrastimato il titolo anticorpale (ciò è possibile se non si usa una particolare metodica chiamata "ELISA modificato"); b) la quantità di tossina prodotta era molto elevata, pertanto il livello di anticorpo, benché superiore alla soglia protettiva, non é risultato sufficiente (Wassilak 2008).
L’obiettivo della vaccinazione e dai periodici richiami è di produrre livelli di anticorpo molto elevati che, in quanto tali, conferiscono un’adeguata protezione contro il tetano. Se, anziché dosare gli anticorpi, si somministrano sia il vaccino sia i richiami, si ottengono concentrazioni di anticorpo costantemente elevate in grado di scongiurare la minaccia del tetano (Borrow 2007).
Un referto di laboratorio che riporta un valore pari o di poco superiore a quello protettivo non garantisce nulla e chi diffonde un'informazione di questo tipo non ha evidentemente interpretato in modo corretto i dati di letteratura sugli aspetti immunologici del tetano. Tale interpretazione è potenzialmente in grado di produrre dei danni, a causa del senso di falsa sicurezza che alcuni genitori possono sviluppare in presenza di un dato di laboratorio che attesti un livello teoricamente protettivo (sempre che la metodica utilizzata sia affidabile, giacché alcune metodiche sovrastimano il livello degli anticorpi contro la tossina tetanica).
Ma esiste davvero l’immunità naturale contro il tetano? Uno studio avrebbe rilevato il ruolo di precarie condizioni di vita nell'acquisizione di tale immunità, registrando - tra i non vaccinati - livelli anticorpali più elevati nei bambini con basso status socio-economico rispetto ai bambini della classe media in San Paolo del Brasile (Veronesi 1975). Anticorpi protettivi sono stati rilevati in profughi non vaccinati provenienti dall'Etiopia e immigrati in Israele (Matzkin 1985). Tuttavia, anche ammettendo l'esistenza di una possibile immunità naturale, questa sembrerebbe acquisita a causa di condizioni di vita piuttosto disagiate, ben lontane dai nostri
attuali standard occidentali. Occorre inoltre sottolineare che la tossina del tetano non è normalmente in grado di provocare una risposta immunitaria da parte dell’organismo, neppure in coloro che hanno superato il tetano: questi pazienti infatti, una volta guariti, devono essere vaccinati.
La teoria dell’immunità naturale verso il tetano mostra alcuni punti deboli (Borrow 2007): il fatto che alcuni studi abbiano dimostrato la presenza di anticorpi anti-tetano in persone che si dichiarano non vaccinate non può escludere la possibilità di una precedente somministrazione del vaccino (in assenza di registri di vaccinazione, come spesso accade nei Paesi in via di sviluppo); inoltre vi sono studi che hanno trovato anticorpi anti-tetano probabilmente dovuti alla reazione crociata con altri antigeni. Studi in bambini africani, reclute indiane, persone che lavoravano a contatto con i cavalli (che normalmente albergano spore tetaniche nell’intestino), donne in gravidanza (Nuova Guinea), persone sane (Burkina Faso) hanno dimostrato che le popolazioni dei Paesi in via di sviluppo con un elevato livello di esposizione alle spore di tetano non hanno anticorpi anti-tetano (Borrow 2007).
In virtù dell’autonomia conferita dalla Costituzione alle Regioni, il Piemonte (2006), il Veneto (2008) e altre realtà locali hanno iniziato un percorso che tende all’eliminazione dell’obbligo vaccinale. Il Piemonte ha semplicemente sospeso l’attivazione delle procedure in caso di rifiuto delle vaccinazioni (sanzioni, segnalazione al Tribunale per i Minori), il Veneto ha sospeso in toto gli effetti delle leggi che prevedono l’obbligatorietà per alcune vaccinazioni.
E’ auspicabile che questo cammino prosegua: è nostra convinzione che sia opportuno giungere all’abolizione dell’obbligo vaccinale in nome della libertà di scelta garantita dall’art. 32 della Costituzione e dalla Convenzione di Oviedo del 1997 (Convenzione per la protezione dei diritti dell’uomo e la dignità dell’essere umano riguardo alle applicazioni della biologia e della medicina). Riteniamo infatti che una società avanzata non abbia bisogno dell’obbligo vaccinale per garantire il diritto alla salute della popolazione, ma si debba affidare alla scelta libera e consapevole dei cittadini. Peraltro solo un voto del Parlamento può definitivamente abrogare le leggi che prevedono l’obbligo vaccinale. Sino a quel momento tali leggi sono formalmente in vigore, sia pure temperate da eventuali provvedimenti delle Regioni come quelli dianzi menzionati.
SECONDA PARTE – Approfondimenti
I. La sicurezza dei vaccini
L’efficacia e la sicurezza dei vaccini vengono testate in differenti fasi. Le prime tre fasi si svolgono prima della commercializzazione del vaccino, e vengono definite FASE I, II, III (Chen 1996, Crovari 2001). Dopo la commercializzazione del vaccino si passa alla FASE IV.
Tutte queste fasi sono regolate da una rigida normativa comunitaria e nazionale. Prima della sperimentazione sull’uomo vengono generalmente fatte delle sperimentazioni in laboratorio (“in vitro”) e sull’animale. Il vaccino viene controllato dal punto di vista delle possibili contaminazioni chimiche e biologiche.
Successivamente, nella fase I, il vaccino viene testato su un numero limitato di persone (decine), in genere le persone a maggior rischio di contrarre la malattia per la quale si studia il vaccino. Questa fase, durante la quale si aumentano le quantità di vaccino somministrate ai volontari fino ad arrivare a quelle che si pensa saranno utilizzate nella formulazione definitiva, serve soprattutto a verificare l’assenza di tossicità della preparazione (“Primum non nocere” - Ippocrate). Ovviamente i soggetti vengono sottoposti ad accurati accertamenti clinici e ad esami di laboratorio. Se questa fase viene superata, si passa alla fase II. In questa fase, che può coinvolgere anche centinaia di persone, possono essere modificati i componenti degli antigeni vaccinali, degli eccipienti e degli stabilizzanti; si studiano gli effetti delle dosi successive, sia in termini di effetti tossici che di immunogenicità.
Se anche questa fase viene superata, si passa alla fase III, che coinvolge in genere tra 100 e 10.000 volontari. In questa terza fase, oltre a continuare la sorveglianza sugli effetti collaterali, si valuta anche l’efficacia del vaccino, mediante esami di laboratorio che valutano la risposta immunitaria nei soggetti vaccinati.
Dato che, se si tratta di un nuovo vaccino, esiste anche un gruppo di non vaccinati, è possibile seguire nel tempo le due popolazioni (vaccinati-non vaccinati), per verificare sul campo se il vaccino è utile nella prevenzione della malattia. L’aumento del numero dei soggetti vaccinati consente anche di verificare la possibilità di reazioni gravi ma abbastanza rare. Questa fase può durare anche diversi anni.
Se anche questa fase III viene superata, si passa alla commercializzazione del vaccino, dopo l’approvazione degli organi competenti (in Europa, l’EMA ed in Italia il Ministero della Salute e l'AIFA www.agenziafarmaco.it).
Durante la fase III avviene un controllo sistematico delle persone vaccinate, a scadenze fisse, da parte di personale sanitario; inoltre i genitori, o nel caso di soggetti maggiorenni, lo stesso soggetto vaccinato, devono raccogliere giornalmente su di una scheda (“diary card”) tutti gli eventuali eventi avversi, per un periodo di tempo prefissato. Tale diary card dovrà poi essere consegnata agli autori dello studio.
Ovviamente dovranno essere eseguiti accurati accertamenti clinici e di laboratorio, per verificare se il soggetto vaccinato contrae una delle malattie per le quali è stato vaccinato.
Pertanto, quando un vaccino viene immesso in commercio, si conosce già la percentuale delle reazioni avverse più comuni, previste in termini percentuali a livello di popolazione (anche se non prevedibili nel singolo caso).
Ad es., la reazione locale, la febbre, la durata accettabile del pianto post vaccinazione, ecc.: non si vaccina al buio, non sapendo che cosa capiterà.
La frequenza di tali reazioni, di cui ovviamente devono essere avvisati i genitori, nel caso di un minore, rientra tra gli effetti collaterali del vaccino già noti (inclusa la possibilità di una reazione grave del tipo dello shock anafilattico) e spesso sono dipendenti dalle caratteristiche intrinseche del vaccino. Quando però vengono vaccinate centinaia di migliaia di persone, possono manifestarsi effetti collaterali gravi, ma estremamente rari.
E’ perciò necessario che la sorveglianza sulle reazioni avverse da vaccino prosegua anche dopo la fase III (fase IV “post – marketing”); ciò può essere fatto con studi epidemiologici ad hoc (studi “caso – controllo”, studi di coorte, ecc.), oppure con dei sistemi di sorveglianza cosiddetta “passiva”, nella quale l’organo di controllo (in genere strutture sanitarie pubbliche) riceve “passivamente” le segnalazioni delle reazioni avverse (o presunte tali: bisogna infatti differenziare l’evento avverso - successivo alla vaccinazione ma non ad esso correlato - dalla
reazione avversa - correlata alla vaccinazione).
La normativa italiana prevede di “routine” la sorveglianza passiva; questa è la modalità più diffusa di farmacovigilanza nei Paesi occidentali più evoluti, compresi gli Stati Uniti, nei quali è stato realizzato il VAERS – Vaccine Adverse Event Reporting System.
Dal 2003, inoltre, è in vigore la Rete Nazionale di Farmacovigilanza che collega attraverso Internet i responsabili della farmacovigilanza delle diverse strutture sanitarie. Il sistema consente di trasmettere via web le segnalazioni di sospette reazioni avverse a farmaci, inclusi i vaccini, che sono registrate in un unico Database nazionale presso il Ministero della Salute. I dati che vengono comunicati al Ministero vengono raccolti da tutto il territorio nazionale, ma vengono anche comunicati all’EMA, Agenzia Europea del Farmaco, (vedi risposta precedente). Il seguente episodio è in grado di rappresentare l’efficacia della rete di farmacovigilanza.
In Italia dal 1 gennaio 2004 al 28 febbraio 2006 furono segnalate 4 reazioni anafilattiche e 3 da ipersensibilità successive alla somministrazione di un vaccino morbillo-parotite-rosolia denominato Morupar, su un totale di oltre un milione di dosi vendute. Per gli altri due prodotti disponibili, furono segnalate complessivamente uno shock anafilattico e tre reazioni da ipersensibilità, su un totale di oltre 2.800.000 dosi vendute, che rappresentano quindi un’incidenza bassa di eventi avversi. Tutti i casi descritti si sono risolti senza esiti.
(http://www.epicentro.iss.it/problemi/vaccinazioni/disp_vaccinazioni.asp).
Sebbene complessivamente le reazioni allergiche legate alla somministrazione del Morupar fossero molto rare, la commercializzazione di questo prodotto fu sospesa in via cautelativa. Questa è la dimostrazione del fatto che il sistema di sorveglianza delle reazioni da vaccino è in grado di condurre a provvedimenti anche drastici come la sospensione di un prodotto, allo scopo di garantire sempre la massima sicurezza possibile. Questi sistemi di sorveglianza passiva solitamente sottostimano reazioni di scarsa gravità (in quanto se sono già note e previste nei fogli illustrativi non vengono di solito segnalate), ma sono in grado di identificare reazioni anche piuttosto rare.
Studi con sorveglianza attiva vengono solitamente attuati solo in casi particolari, quando ad es. è necessario verificare la possibile correlazione tra una vaccinazione ed una reazione grave ma rara; oppure per conoscere in modo preciso la frequenza di reazioni non rare.
Questa branca della sanità pubblica che studia le reazioni avverse ai farmaci, inclusi i vaccini, viene definita farmaco-epidemiologia e si avvale delle tecniche proprie degli studi epidemiologici.
Una forma più avanzata di sorveglianza è quella costituita dai cosiddetti LLDB (acronimo di Large-Linked DataBases). In essa una certa quota della popolazione, possibilmente almeno in parte rappresentativa della popolazione generale, viene seguita nel tempo: vengono non solo registrati tutti i dati relativi ai vaccini somministrati, ma anche tutti gli accessi ambulatoriali, i ricoveri ospedalieri e gli eventuali decessi.
Tutti questi dati computerizzati (DataBases) vengono tra loro correlati (Linked); l’elevato numero di soggetti seguiti permette di individuare reazioni gravi ma molto rare (un caso ogni 100.000 vaccinati e più).
Un esempio di questi LLDB è rappresentato dal progetto VSD (Vaccine Safety Datalink) americano ttp://www.cdc.gov/vaccinesafety/Activities/vsd.html . Questi studi vengono svolti soprattutto negli USA, dove una parte più o meno grande della spesa sanitaria è coperta dalle assicurazioni private, che hanno interesse a sapere se convenga sopportare il costo economico della somministrazione di un vaccino oppure in alternativa quello dei ricoveri ospedalieri, degli accertamenti di laboratorio e delle cure dei soggetti che si ammalano di una certa patologia (senza trascurare i costi economici legata all’assenza dal lavoro dei genitori).
La frequenza delle reazioni da vaccino gravi ma rare o rarissime va conosciuta anche per la valutazione del rapporto rischio-beneficio e per l’identificazione di eventuali gruppi a maggior rischio di reazioni gravi, da escludere dalla vaccinazione.
Come già detto, un punto di cruciale importanza è la distinzione tra evento avverso (un evento indesiderato che accade dopo una vaccinazione ma ad esso correlato solo temporalmente, senza una relazione causaeffetto) e reazione avversa (evento indesiderato causato dalla vaccinazione, quindi con una relazione causaeffetto).
Con tutti questi tipi di indagine è stato possibile ad es. verificare la mancanza di una correlazione causale tra:
vaccinazione antimorbillo-parotite-rosolia e morbo di Crohn o l’autismo (Chen 1991; Duclos 1998; Farrington 1995; Farrington 2001; Feeney M 1997; Haga 1996; Halsey 2001; Kaye 2001; Medical Reasearch Council 2001 www.mrc.ac.uk; Patriarca 1995; Stratton 2001; Taylor 1999; Taylor 2002; World Health Organization 2000 a; Hviid 2003; Verstraeten 2003; Heron 2004; Andrews 2004; Fombonne 2006);
vaccini e diabete: l’assenza di un rapporto tra vaccinazioni e diabete è stata dimostrata in studi
condotti sia nei bambini (Graves 1999; Jefferson 1998; Destefano 2001; Hviid 2004) sia in soggetti adulti (Duderstadt 2012).
vaccino anti-epatite B e sclerosi multipla (World Health Organization 1997 a; Confavreux 2001;
Ascherio 2001);
vaccini ed aumento di incidenza di allergie (argomento già trattato nella Prima Parte – domanda n. 13).
Tutti questi studi permettono inoltre alle autorità sanitarie dei vari Paesi di ampliare le conoscenze sui vaccini e di aggiornare periodicamente le schede tecniche ed i foglietti illustrativi, che solitamente riportano la frequenza attesa di effetti collaterali.
Prima dell’immissione in commercio, le autorità sanitarie dei vari Paesi (l’Istituto Superiore di Sanità per l’Italia) controllano la sterilità e l’eventuale tossicità di ogni lotto di vaccino. Tali accertamenti, come pure la rispondenza del prodotto agli standard produttivi, vengono eseguiti anche dalle ditte produttrici, che devono assicurare che il vaccino rispetti le rigorose specificazioni previste dalla Farmacopea Europea.
A proposito di sicurezza, è opportuno citare un episodio di contaminazione del vaccino polio con un virus denominato SV40, avvenuto nel 1955. Un evento del genere al giorno d’oggi è scongiurato grazie alle moderne tecnologie di produzione e controllo dei lotti di vaccino. Ciononostante, gli oppositori delle vaccinazioni continuano a parlarne, raccontando l’episodio in modo spesso distorto. Ecco che cosa accadde veramente.
E’ noto che una parte delle dosi di vaccino polio somministrate nel periodo 1955-1963 è sicuramente stata contaminata dal virus SV40, che è cancerogeno nei roditori, ma non è ancora del tutto chiaro se possiede attività oncogena negli umani; un’ipotesi accreditata è che il virus da solo non sia in grado di indurre tumori, essendo necessaria la presenza di un fattore ambientale (per es. l’esposizione all’amianto). Sono stati condotti molti studi epidemiologici sulle popolazioni che avevano ricevuto il vaccino polio nel periodo della contaminazione. Studi condotti negli USA e in Europa (Stratton 2002, Strickler 2002) non dimostrano un’aumentata incidenza di cancro nei soggetti esposti (coloro che avevano ricevuto il vaccino contaminato) rispetto ai non esposti (coloro che non lo avevano ricevuto). In ogni caso la questione della contaminazione da virus SV40 riguarda un periodo ristretto (1955-63) in cui non erano disponibili le attuali tecnologie di produzione e di controllo della qualità dei vaccini, che ormai da molti anni consentono di escludere la presenza del virus SV40. Una recente pubblicazione dell’Institute of Medicine, sulla base di tutti gli studi epidemiologici pubblicati su questo tema, è pervenuta alle seguenti conclusioni: “le evidenze sono insufficienti per accettare o respingere la relazione causale tra vaccini polio contenenti SV40 e ca
Studi con sorveglianza attiva vengono solitamente attuati solo in casi particolari, quando ad es. è necessario verificare la possibile correlazione tra una vaccinazione ed una reazione grave ma rara; oppure per conoscere in modo preciso la frequenza di reazioni non rare.
Questa branca della sanità pubblica che studia le reazioni avverse ai farmaci, inclusi i vaccini, viene definita farmaco-epidemiologia e si avvale delle tecniche proprie degli studi epidemiologici.
Una forma più avanzata di sorveglianza è quella costituita dai cosiddetti LLDB (acronimo di Large-Linked DataBases). In essa una certa quota della popolazione, possibilmente almeno in parte rappresentativa della popolazione generale, viene seguita nel tempo: vengono non solo registrati tutti i dati relativi ai vaccini somministrati, ma anche tutti gli accessi ambulatoriali, i ricoveri ospedalieri e gli eventuali decessi.
Tutti questi dati computerizzati (DataBases) vengono tra loro correlati (Linked); l’elevato numero di soggetti seguiti permette di individuare reazioni gravi ma molto rare (un caso ogni 100.000 vaccinati e più).
Un esempio di questi LLDB è rappresentato dal progetto VSD (Vaccine Safety Datalink) americano ttp://www.cdc.gov/vaccinesafety/Activities/vsd.html . Questi studi vengono svolti soprattutto negli USA, dove una parte più o meno grande della spesa sanitaria è coperta dalle assicurazioni private, che hanno interesse a sapere se convenga sopportare il costo economico della somministrazione di un vaccino oppure in alternativa quello dei ricoveri ospedalieri, degli accertamenti di laboratorio e delle cure dei soggetti che si ammalano di una certa patologia (senza trascurare i costi economici legata all’assenza dal lavoro dei genitori).
La frequenza delle reazioni da vaccino gravi ma rare o rarissime va conosciuta anche per la valutazione del rapporto rischio-beneficio e per l’identificazione di eventuali gruppi a maggior rischio di reazioni gravi, da escludere dalla vaccinazione.
Come già detto, un punto di cruciale importanza è la distinzione tra evento avverso (un evento indesiderato che accade dopo una vaccinazione ma ad esso correlato solo temporalmente, senza una relazione causaeffetto) e reazione avversa (evento indesiderato causato dalla vaccinazione, quindi con una relazione causaeffetto).
Con tutti questi tipi di indagine è stato possibile ad es. verificare la mancanza di una correlazione causale tra:
vaccinazione antimorbillo-parotite-rosolia e morbo di Crohn o l’autismo (Chen 1991; Duclos 1998; Farrington 1995; Farrington 2001; Feeney M 1997; Haga 1996; Halsey 2001; Kaye 2001; Medical Reasearch Council 2001 www.mrc.ac.uk; Patriarca 1995; Stratton 2001; Taylor 1999; Taylor 2002; World Health Organization 2000 a; Hviid 2003; Verstraeten 2003; Heron 2004; Andrews 2004; Fombonne 2006);
vaccini e diabete: l’assenza di un rapporto tra vaccinazioni e diabete è stata dimostrata in studi
condotti sia nei bambini (Graves 1999; Jefferson 1998; Destefano 2001; Hviid 2004) sia in soggetti adulti (Duderstadt 2012).
vaccino anti-epatite B e sclerosi multipla (World Health Organization 1997 a; Confavreux 2001;
Ascherio 2001);
vaccini ed aumento di incidenza di allergie (argomento già trattato nella Prima Parte – domanda n. 13).
Tutti questi studi permettono inoltre alle autorità sanitarie dei vari Paesi di ampliare le conoscenze sui vaccini e di aggiornare periodicamente le schede tecniche ed i foglietti illustrativi, che solitamente riportano la frequenza attesa di effetti collaterali.
Prima dell’immissione in commercio, le autorità sanitarie dei vari Paesi (l’Istituto Superiore di Sanità per l’Italia) controllano la sterilità e l’eventuale tossicità di ogni lotto di vaccino. Tali accertamenti, come pure la rispondenza del prodotto agli standard produttivi, vengono eseguiti anche dalle ditte produttrici, che devono assicurare che il vaccino rispetti le rigorose specificazioni previste dalla Farmacopea Europea.
A proposito di sicurezza, è opportuno citare un episodio di contaminazione del vaccino polio con un virus denominato SV40, avvenuto nel 1955. Un evento del genere al giorno d’oggi è scongiurato grazie alle moderne tecnologie di produzione e controllo dei lotti di vaccino. Ciononostante, gli oppositori delle vaccinazioni continuano a parlarne, raccontando l’episodio in modo spesso distorto. Ecco che cosa accadde veramente.
E’ noto che una parte delle dosi di vaccino polio somministrate nel periodo 1955-1963 è sicuramente stata contaminata dal virus SV40, che è cancerogeno nei roditori, ma non è ancora del tutto chiaro se possiede attività oncogena negli umani; un’ipotesi accreditata è che il virus da solo non sia in grado di indurre tumori, essendo necessaria la presenza di un fattore ambientale (per es. l’esposizione all’amianto). Sono stati condotti molti studi epidemiologici sulle popolazioni che avevano ricevuto il vaccino polio nel periodo della contaminazione. Studi condotti negli USA e in Europa (Stratton 2002, Strickler 2002) non dimostrano un’aumentata incidenza di cancro nei soggetti esposti (coloro che avevano ricevuto il vaccino contaminato) rispetto ai non esposti (coloro che non lo avevano ricevuto). In ogni caso la questione della contaminazione da virus SV40 riguarda un periodo ristretto (1955-63) in cui non erano disponibili le attuali tecnologie di produzione e di controllo della qualità dei vaccini, che ormai da molti anni consentono di escludere la presenza del virus SV40. Una recente pubblicazione dell’Institute of Medicine, sulla base di tutti gli studi epidemiologici pubblicati su questo tema, è pervenuta alle seguenti conclusioni: “le evidenze sono insufficienti per accettare o respingere la relazione causale tra vaccini polio contenenti SV40 e ca
ncro” (Stratton 2002).
Nel giugno 2002 la Regione Europea dell’OMS (che comprende sia l’Europa dell’ovest che dell’est, nonché alcuni Stati geograficamente appartenenti all’Asia) è stata dichiarata libera dalla polio. L’ultima epidemia si era verificata nel Kurdistan nel 1998, successivamente si erano verificati solo 2 casi importati dall’India. Ormai soltanto alcuni Paesi dell’Africa centrale e alcune aree dell’Asia albergano ancora il virus polio (per un costante aggiornamento si veda il sito http://www.polioeradication.org/Infectedcountries.aspx). In soli 3 anni, ossia dal 1998 al 2001, si verificò una significativa riduzione dei casi di polio nel mondo.
Nella regione europea dell’OMS, dal 1990 al 2001 si sono verificati 8 focolai di poliomielite da virus selvaggio: in Romania (1990), Bulgaria (1991), Tagikistan (1991), Olanda (1992), Uzebkistan (1994), Russia (1995), Albania (1996), Turchia (Kurdistan, 1998), Bulgaria (2001), con parecchie centinaia di casi e decine di morti (Wassilak 1997, World Health Organization 2001 a, 2001 b).
La causa di queste epidemie è stata solitamente la reintroduzione del virus della polio in una popolazione che non era adeguatamente vaccinata contro questa malattia.
In Albania i casi notificati alle Autorità Sanitarie nel 1996 furono ufficialmente 138 con 16 morti (Prevots 1997); questo significa che i casi d’infezione furono almeno 1.500.
L’ondata migratoria albanese sulle coste pugliesi e di conseguenza nelle altre regioni italiane non portò all’insorgenza di casi di poliomielite sia perché fu condotta una vaccinazione di massa in Albania che bloccò l’epidemia, sia perché la popolazione pugliese era immunizzata contro la polio; se così non fosse stato, non si può escludere che, come avvenne per il colera, avrebbero potuto verificarsi in Puglia anche dei casi di polio (malattia trasmessa per via oro-fecale).
Nel 2010, la Regione Europea dell'OMS ha sperimentato la prima importazione di poliovirus selvaggio da quando è stata certificata come libera dalla polio nel 2002: il governo del Tagikistan aveva registrato un forte aumento dei casi di polio nel mese di aprile 2010. Analisi genetiche hanno rilevato che si trattava di un poliovirus selvaggio tipo 1, strettamente legato ai ceppi virali precedentemente identificati in Uttar Pradesh, India.
Per tutto il 2010, il Tagikistan ha riportato 458 casi confermati di laboratorio di poliovirus selvaggio tipo 1, di cui 29 decessi. L'epidemia si è estesa ai paesi vicini e, sempre nel 2010, la Federazione Russa ha riportato 14 casi confermati in laboratorio di poliomielite, il Turkmenistan 3 casi e il Kazakistan 1 caso (World Health Organization, Regional Office Europe 2011).
A partire dal 2003 si è verificato un aumento di casi di polio nel nord della Nigeria, allorché la campagna di vaccinazione fu bloccata per mesi per motivi politico-religiosi (Jegede 2007): fu infatti diffuso il sospetto che il vaccino potesse rendere le donne sterili, trasmettere l'AIDS o essere prodotto utilizzando derivati del maiale (notoriamente, cibo proibito per i musulmani). Nell'ottobre 2004 è stato possibile riprendere la campagna vaccinale poiché è stato scelto un vaccino prodotto in una Nazione musulmana, l'Indonesia. Purtroppo nel frattempo il virus si è diffuso al di fuori della Nigeria, in Paesi precedentemente liberi dalla polio, e solo grazie all’intervento dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e dei governi interessati la situazione è successivamente tornata sotto controllo. Questi fatti dimostrano ulteriormente che occorre continuare a vaccinare sino a che la poliomielite non sarà eradicata. Eradicazione sta a significare la scomparsa del virus dall’intero pianeta, così come è già avvenuto per il vaiolo (altro esempio di efficacia della vaccinazione). Finché il virus polio circolerà in qualche parte del mondo, vi sarà il rischio che esso venga importato in Europa e in Italia. Se trova una popolazione ampiamente vaccinata, il virus non dà luogo ad un’epidemia. Se invece trova dei soggetti non immuni, può diffondersi.
Nel 2011 sono stati segnalati casi di poliomielite in Cina, i primi da diversi anni. Tutti i casi sono stati segnalati nella regione autonoma dello Xinjiang Uygur. Analisi genetiche hanno messo in evidenza che si trattava di un poliovirus selvaggio tipo 1 molto simile a quello circolante in Pakistan (World Health Organization, Global Alert and Response 2011).
Sino ad ora abbiamo descritto epidemie di polio in Paesi di livello socio-economico basso. Ciò non significa che i Paesi sviluppati non siano a rischio. Il caso olandese (1992) è particolarmente significativo: in Olanda i membri di una piccola comunità religiosa rifiutano di vaccinare i propri figli. Pur vivendo in Paese ad alta civilizzazione, questi bambini (e anche alcuni adulti) vennero colpiti dalla poliomielite, per un totale di 72 casi; 2 morirono e 59 restarono paralizzati per sempre (Oostvogel 1994).
Attenzione: stiamo parlando del 1992, non del 1892! Il virus della polio che diede origine all’epidemia olandese venne introdotto o da portatori con infezioni asintomatiche o da alimenti, entrambi provenienti da Paesi dove la polio è ancora endemica (probabilmente l’India). Si verificò un solo caso tra gli altri olandesi non appartenenti a quella comunità; ciò perché in Olanda quasi il 100% dei bambini erano vaccinati.
Non vaccinare contro la polio può essere molto pericoloso perché, soprattutto se il numero dei soggetti non immuni diventa elevato (maggiore dell’1-5% della popolazione), oppure se vi è un numero ristretto di soggetti non vaccinati, ma concentrato nella stessa zona, l’epidemia può sempre verificarsi, anche in Paesi industrializzati, come dimostra l’esempio olandese. Ciò va tenuto presente in un Paese come il nostro, in cui vi è una immigrazione di persone proveniente da zone in cui la polio è ancora endemica. Il ritorno della difterite nella ex Unione Sovietica
Il.Il ritorno della Difterite Nella regione europea dell’OMS, dal 1990 al 2001 si sono verificati 8 focolai di poliomielite da virus selvaggio: in Romania (1990), Bulgaria (1991), Tagikistan (1991), Olanda (1992), Uzebkistan (1994), Russia (1995), Albania (1996), Turchia (Kurdistan, 1998), Bulgaria (2001), con parecchie centinaia di casi e decine di morti (Wassilak 1997, World Health Organization 2001 a, 2001 b).
La causa di queste epidemie è stata solitamente la reintroduzione del virus della polio in una popolazione che non era adeguatamente vaccinata contro questa malattia.
In Albania i casi notificati alle Autorità Sanitarie nel 1996 furono ufficialmente 138 con 16 morti (Prevots 1997); questo significa che i casi d’infezione furono almeno 1.500.
L’ondata migratoria albanese sulle coste pugliesi e di conseguenza nelle altre regioni italiane non portò all’insorgenza di casi di poliomielite sia perché fu condotta una vaccinazione di massa in Albania che bloccò l’epidemia, sia perché la popolazione pugliese era immunizzata contro la polio; se così non fosse stato, non si può escludere che, come avvenne per il colera, avrebbero potuto verificarsi in Puglia anche dei casi di polio (malattia trasmessa per via oro-fecale).
Nel 2010, la Regione Europea dell'OMS ha sperimentato la prima importazione di poliovirus selvaggio da quando è stata certificata come libera dalla polio nel 2002: il governo del Tagikistan aveva registrato un forte aumento dei casi di polio nel mese di aprile 2010. Analisi genetiche hanno rilevato che si trattava di un poliovirus selvaggio tipo 1, strettamente legato ai ceppi virali precedentemente identificati in Uttar Pradesh, India.
Per tutto il 2010, il Tagikistan ha riportato 458 casi confermati di laboratorio di poliovirus selvaggio tipo 1, di cui 29 decessi. L'epidemia si è estesa ai paesi vicini e, sempre nel 2010, la Federazione Russa ha riportato 14 casi confermati in laboratorio di poliomielite, il Turkmenistan 3 casi e il Kazakistan 1 caso (World Health Organization, Regional Office Europe 2011).
A partire dal 2003 si è verificato un aumento di casi di polio nel nord della Nigeria, allorché la campagna di vaccinazione fu bloccata per mesi per motivi politico-religiosi (Jegede 2007): fu infatti diffuso il sospetto che il vaccino potesse rendere le donne sterili, trasmettere l'AIDS o essere prodotto utilizzando derivati del maiale (notoriamente, cibo proibito per i musulmani). Nell'ottobre 2004 è stato possibile riprendere la campagna vaccinale poiché è stato scelto un vaccino prodotto in una Nazione musulmana, l'Indonesia. Purtroppo nel frattempo il virus si è diffuso al di fuori della Nigeria, in Paesi precedentemente liberi dalla polio, e solo grazie all’intervento dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e dei governi interessati la situazione è successivamente tornata sotto controllo. Questi fatti dimostrano ulteriormente che occorre continuare a vaccinare sino a che la poliomielite non sarà eradicata. Eradicazione sta a significare la scomparsa del virus dall’intero pianeta, così come è già avvenuto per il vaiolo (altro esempio di efficacia della vaccinazione). Finché il virus polio circolerà in qualche parte del mondo, vi sarà il rischio che esso venga importato in Europa e in Italia. Se trova una popolazione ampiamente vaccinata, il virus non dà luogo ad un’epidemia. Se invece trova dei soggetti non immuni, può diffondersi.
Nel 2011 sono stati segnalati casi di poliomielite in Cina, i primi da diversi anni. Tutti i casi sono stati segnalati nella regione autonoma dello Xinjiang Uygur. Analisi genetiche hanno messo in evidenza che si trattava di un poliovirus selvaggio tipo 1 molto simile a quello circolante in Pakistan (World Health Organization, Global Alert and Response 2011).
Sino ad ora abbiamo descritto epidemie di polio in Paesi di livello socio-economico basso. Ciò non significa che i Paesi sviluppati non siano a rischio. Il caso olandese (1992) è particolarmente significativo: in Olanda i membri di una piccola comunità religiosa rifiutano di vaccinare i propri figli. Pur vivendo in Paese ad alta civilizzazione, questi bambini (e anche alcuni adulti) vennero colpiti dalla poliomielite, per un totale di 72 casi; 2 morirono e 59 restarono paralizzati per sempre (Oostvogel 1994).
Attenzione: stiamo parlando del 1992, non del 1892! Il virus della polio che diede origine all’epidemia olandese venne introdotto o da portatori con infezioni asintomatiche o da alimenti, entrambi provenienti da Paesi dove la polio è ancora endemica (probabilmente l’India). Si verificò un solo caso tra gli altri olandesi non appartenenti a quella comunità; ciò perché in Olanda quasi il 100% dei bambini erano vaccinati.
Non vaccinare contro la polio può essere molto pericoloso perché, soprattutto se il numero dei soggetti non immuni diventa elevato (maggiore dell’1-5% della popolazione), oppure se vi è un numero ristretto di soggetti non vaccinati, ma concentrato nella stessa zona, l’epidemia può sempre verificarsi, anche in Paesi industrializzati, come dimostra l’esempio olandese. Ciò va tenuto presente in un Paese come il nostro, in cui vi è una immigrazione di persone proveniente da zone in cui la polio è ancora endemica. Il ritorno della difterite nella ex Unione Sovietica
L’esempio più significativo di cosa possa accadere quando in un Paese si smette di vaccinare contro la difterite è rappresentato dalla spaventosa epidemia di difterite scoppiata nei Paesi dell’ex Unione Sovietica nel 1990-91 (World Health Organization 1996). Fino al 1990 nell’Unione sovietica i casi di difterite erano pochissimi.
Dopo il 1989, per gli sconvolgimenti economico-sociali conseguenti alla caduta del regime comunista, nell’ex Unione Sovietica un numero sempre minore di bambini fu vaccinato contro la difterite. Ciò creò le condizioni per il verificarsi di un’epidemia, cui forse contribuirono i militari russi reduci dall’Afghanistan, alcuni dei quali erano diventati portatori del batterio della difterite.
La conseguenza fu un’epidemia di quasi 200.000 casi di difterite, che provocò quasi 6.000 morti. Solo tra il 1992 ed il 1995 nell’ex Unione Sovietica vennero notificati oltre 125.000 casi di difterite, con 4.000 morti (Dittmann 1997).
I casi si verificarono non solo tra i bambini, ma anche tra gli adulti non vaccinati.
L’epidemia è proseguita, sebbene con minore intensità, nel periodo 2000 – 2005, durante il quale risultano notificati 3.971 casi di difterite nella Federazione Russa; solo nel 2006 è iniziata una cospicua diminuzione, sino a giungere a 9 casi nel 2010 (fonte: Centralized Information System for Infectious Diseases (http://data.euro.who.int/CISID/ ).
E’ da segnalare che si verificarono anche dei casi tra alcuni viaggiatori in Russia, successivamente tornati nel loro Paese d’origine (in Finlandia, Polonia, Germania, Repubblica Ceca) (Ministero della Sanità 1997).
Nei Paesi sopracitati non si è verificata la diffusione del germe (la popolazione era vaccinata), ma nella confinante Mongolia seguì un’epidemia che coinvolse 128 persone, con 21 morti, in prevalenza bambini (World Health Organization 1997 b).
Due casi di difterite furono segnalati tra la fine del 2001 e l’inizio del 2002 nell’Europa occidentale: in Finlandia in un neonato, deceduto (non era stato ancora vaccinato); in Olanda in una signora di 59 anni, sopravvissuta.
La preoccupante epidemia dell’ex Unione Sovietica indusse il Ministero della Sanità italiano ad emanare una circolare, con la quale si invita a rivaccinare gli adulti non solo contro il tetano, ma anche contro la difterite (Ministero della Sanità 1997).
La difterite è una malattia che si trasmette per via aerea; pertanto solo le persone immunizzate contro di essa non hanno conseguenze dall’infezione con il batterio difterico.
Quanto successo nella ex Unione Sovietica dimostra come sia pericoloso smettere di vaccinare i bambini contro la difterite; in caso di ricomparsa del germe, si verificano casi non solo tra i più piccoli, ma anche tra gli adulti che da tempo non si rivaccinano, oppure che non sono mai stati immunizzati.
Per questa ragione la vaccinazione contro la difterite è sempre stata inserita nei calendari vaccinali di tutti i Paesi del mondo.
Dopo il 1989, per gli sconvolgimenti economico-sociali conseguenti alla caduta del regime comunista, nell’ex Unione Sovietica un numero sempre minore di bambini fu vaccinato contro la difterite. Ciò creò le condizioni per il verificarsi di un’epidemia, cui forse contribuirono i militari russi reduci dall’Afghanistan, alcuni dei quali erano diventati portatori del batterio della difterite.
La conseguenza fu un’epidemia di quasi 200.000 casi di difterite, che provocò quasi 6.000 morti. Solo tra il 1992 ed il 1995 nell’ex Unione Sovietica vennero notificati oltre 125.000 casi di difterite, con 4.000 morti (Dittmann 1997).
I casi si verificarono non solo tra i bambini, ma anche tra gli adulti non vaccinati.
L’epidemia è proseguita, sebbene con minore intensità, nel periodo 2000 – 2005, durante il quale risultano notificati 3.971 casi di difterite nella Federazione Russa; solo nel 2006 è iniziata una cospicua diminuzione, sino a giungere a 9 casi nel 2010 (fonte: Centralized Information System for Infectious Diseases (http://data.euro.who.int/CISID/ ).
E’ da segnalare che si verificarono anche dei casi tra alcuni viaggiatori in Russia, successivamente tornati nel loro Paese d’origine (in Finlandia, Polonia, Germania, Repubblica Ceca) (Ministero della Sanità 1997).
Nei Paesi sopracitati non si è verificata la diffusione del germe (la popolazione era vaccinata), ma nella confinante Mongolia seguì un’epidemia che coinvolse 128 persone, con 21 morti, in prevalenza bambini (World Health Organization 1997 b).
Due casi di difterite furono segnalati tra la fine del 2001 e l’inizio del 2002 nell’Europa occidentale: in Finlandia in un neonato, deceduto (non era stato ancora vaccinato); in Olanda in una signora di 59 anni, sopravvissuta.
La preoccupante epidemia dell’ex Unione Sovietica indusse il Ministero della Sanità italiano ad emanare una circolare, con la quale si invita a rivaccinare gli adulti non solo contro il tetano, ma anche contro la difterite (Ministero della Sanità 1997).
La difterite è una malattia che si trasmette per via aerea; pertanto solo le persone immunizzate contro di essa non hanno conseguenze dall’infezione con il batterio difterico.
Quanto successo nella ex Unione Sovietica dimostra come sia pericoloso smettere di vaccinare i bambini contro la difterite; in caso di ricomparsa del germe, si verificano casi non solo tra i più piccoli, ma anche tra gli adulti che da tempo non si rivaccinano, oppure che non sono mai stati immunizzati.
Per questa ragione la vaccinazione contro la difterite è sempre stata inserita nei calendari vaccinali di tutti i Paesi del mondo.
III.Epidemia di pertosse in Giappone come conseguenza di un falso allarme sul vaccino.
Nel 1974 in Giappone si verificò il decesso di due neonati vaccinati il giorno prima con il vecchio vaccino a cellule intere contro la pertosse. Per quanto non fosse accertata una relazione causale tra i due eventi, iniziò una campagna di stampa scatenata da un movimento ostile al vaccino, che sosteneva che tale vaccinazione fosse ormai inutile (perché la pertosse era diventata rara) e pericolosa. In 2 anni il tasso di copertura del vaccino anti-pertosse (cioè la percentuale dei bambini vaccinati) scese dall’85% al 13.6%. Di conseguenza nel 1979 il Giappone fu colpito da un’epidemia di pertosse che provocò 13.000 casi e 41 morti. Nel 1981 (utilizzando il nuovo vaccino acellulare) il programma vaccinale riprese, ottenendo una rapida diminuzione dei casi di malattia e dei decessi. L’attuale calendario di vaccinazione giapponese prevede l’inizio delle vaccinazioni nel terzo mese di vita, come nel resto del mondo (http://idsc.nih.go.jp/vaccine/dschedule/Imm11EN.pdf ).
Fenomeni analoghi a quello descritto in Giappone avvennero in Svezia, Regno Unito e Federazione russa, con decine di migliaia di casi di malattia e di ricoveri ospedalieri e centinaia di decessi (Gangarosa 1998).
IV. Il morbillo in Olanda
Nella stessa comunità religiosa olandese in cui si è verificata la grave epidemia di polio del 1992, nel periodo aprile 99-gennaio 2000 si è verificata un’epidemia di morbillo. L’epidemia è iniziata in una scuola elementare e nei mesi successivi si è diffusa a tutto il Paese. Il 95% dei pazienti non erano vaccinati, il 5% erano vaccinati; di questi ultimi, l’85% aveva ricevuto una sola dose di vaccino, del restante 15% non si è riusciti a risalire al numero delle dosi.
Ecco il bilancio che è stato possibile effettuare a epidemia conclusa (MMWR 2000).
Su 2.961 casi, vi sono stati: 3 morti: un bambino di 2 anni, affetto da una cardiopatia che si è scompensata in seguito al morbillo; un bambino di 3 anni che ha sviluppato una miocardite; un ragazzo di 17 anni che ha presentato un’insufficienza renale acuta e una sindrome da distress respiratorio acuto;
66 soggetti ricoverati, di cui:
Ecco il bilancio che è stato possibile effettuare a epidemia conclusa (MMWR 2000).
Su 2.961 casi, vi sono stati: 3 morti: un bambino di 2 anni, affetto da una cardiopatia che si è scompensata in seguito al morbillo; un bambino di 3 anni che ha sviluppato una miocardite; un ragazzo di 17 anni che ha presentato un’insufficienza renale acuta e una sindrome da distress respiratorio acuto;
66 soggetti ricoverati, di cui:
- 37 per polmonite;
- 7 per disidratazione;
- 5 per encefalite;
- 2 per otite media severa;
- 2 per croup (=ostruzione infiammatoria delle vie respiratorie)
- 23 per problemi respiratori;
- 4 per febbre elevata
- 6 per altre ragioni
Quindi la letalità è stata di circa 1 caso su 1.000.In Olanda da anni più del 94% dei bambini è vaccinato contro il morbillo, tuttavia la copertura non è omogenea a livello nazionale, potendo scendere al 53% nelle aree in cui sono più numerosi gli appartenenti alla comunità religiosa che rifiuta le vaccinazioni.
V. Il morbillo in Italia
Tuttavia, se vogliamo cercare un esempio dei disastrosi effetti della mancata vaccinazione contro il morbillo, dobbiamo parlare dell’Italia. La copertura vaccinale contro il morbillo (ossia la percentuale dei bambini vaccinati) non è omogenea nel nostro Paese. Nel 2002 il divario nord-sud era particolarmente pronunciato, e in vaste aree del meridione la copertura vaccinale era intorno al 50%. Nel 2002 si è verificata una grave epidemia di morbillo, che ha interessato proprio le aree con una minore copertura vaccinale. Ecco il risultato (Filia 2005):
oltre 40.000 casi
3.072 ricoveri per morbillo e relative complicanze, tra le quali ricordiamo:
81 encefaliti
77 episodi convulsivi
391 polmoniti
235 altre complicanze respiratorie (soprattutto bronchite)
16 trombocitopenie (diminuzione delle piastrine nel sangue)
sono inoltre stati segnalati 4 decessi.
VI. Il tetano nei bambini americani
Riassunto dello studio di E. Fair et al. Philosophic Objection to vaccination as a risk for tetanus among children younger than 15 years. Pediatrics 2002;109:E2.
Negli Stati Uniti d’America l’ordinamento prevede tre tipi di esenzione dalle vaccinazioni: medica, religiosa (in 48 Stati) e filosofica (in 15 Stati).
Dal 1992 al 2000 sono stati riportati negli USA 386 casi di tetano, di cui 15 (3.9%) in soggetti di età inferiore ai 15 anni; 2 erano neonati; l’età media dei restanti 13 casi era di 9 anni (range= 3-14 anni). La madre di uno dei neonati non era vaccinata per ragioni filosofiche, l’altra aveva ricevuto solo 1 dose di vaccino 18 anni prima. Per entrambi i neonati si è trattato di un’infezione ombelicale, in uno dei due casi determinata dall’applicazione di argilla sul moncone. Per quanto riguarda gli altri 13 bimbi, solo due erano regolarmente vaccinati, tutti gli altri non avevano ricevuto neppure una dose di vaccino, alcuni per ragioni filosofiche, altri per motivazioni
religiose. Le lesioni che hanno determinato l’infezione tetanica erano le più varie, comprendendo una puntura d’insetto, un morso di cane, nonché ferite occorse con varie modalità (puntura di filo metallico, abrasioni, ferita da moncone d’albero, da spina, da ramoscello, scheggia penetrata nel piede, lesione ungueale, lesione dovuta a un rastrello, ferita da taglio ad un dito, caduta di un blocco di calcestruzzo sul gomito).
Nessuno dei pazienti è deceduto. In 8 casi (53%) è stato necessario ricorrere alla ventilazione assistita e in 1 caso vi è stata perforazione del colon. Il decorso clinico del tetano è stato più grave nei bimbi non vaccinati. I due soggetti regolarmente vaccinati hanno invece avuto una forma di tetano meno severa, per loro non è stata necessaria la ventilazione assistita e la durata del ricovero è stata molto più breve.
Gli Autori sottolineano che:
1) tra i casi da loro esaminati, tutti i non vaccinati erano tali per motivazioni filosofiche o religiose, tranne la madre di uno dei neonati, un’immigrata messicana che aveva ricevuto solo 1 dose del vaccino;
2) la piccola percentuale di casi in soggetti vaccinati (rispetto alle decine di milioni di bambini che nel periodo in esame risultavano regolarmente vaccinati) riflette l’elevata efficacia del vaccino tetanico; inoltre l’indagine conferma quanto era stato osservato in studi precedenti circa la minore gravità clinica del tetano nei soggetti vaccinati;
3) come accade in tutti i sistemi di sorveglianza passiva, verosimilmente il numero dei casi notificati non riflette fedelmente il numero dei casi di tetano occorsi, che potrebbero essere più numerosi.
Gli Autori concludono affermando che i genitori che scelgono di non vaccinare i loro figli dovrebbero essere informati sulla gravità della malattia e sul fatto che il tetano è prevenibile solo con la vaccinazione.
Gli Autori concludono affermando che i genitori che scelgono di non vaccinare i loro figli dovrebbero essere informati sulla gravità della malattia e sul fatto che il tetano è prevenibile solo con la vaccinazione.
VII . Miti e realtà sulle vaccinazioni
Le informazioni che vi abbiamo presentato provengono tutte dalla letteratura scientifica più autorevole. Purtroppo non tutte le informazioni che circolano, anche in forma di pubblicazioni apparentemente autorevoli, sono scientificamente corrette e per i genitori può essere difficile operare una scelta.
E’ ovvio che in una società democratica tutte le opinioni hanno diritto di cittadinanza e le scelte in tema di salute dovrebbero essere libere: per questo motivo molti, compresi gli autori di questo documento, ritengono che l’obbligo vaccinale sia uno strumento di sanità pubblica ormai superato. La libertà di scelta presuppone tuttavia che i cittadini siano correttamente informati, e qui sta il punto dolente dell’informazione operata dai gruppi e movimenti anti-vaccinali che dichiarano di operare “per una scelta consapevole”. Per scoprire gli errori e le inesattezze bisogna essere degli specialisti della materia; come può allora il comune cittadino capire che sta leggendo delle informazioni errate? Come può un genitore fondare la scelta di non vaccinare il proprio figlio su dei documenti non validati scientificamente? Pensiamo sia opportuno informare i genitori sulle tecniche propagandistiche usate da questi movimenti.
E’ ovvio che in una società democratica tutte le opinioni hanno diritto di cittadinanza e le scelte in tema di salute dovrebbero essere libere: per questo motivo molti, compresi gli autori di questo documento, ritengono che l’obbligo vaccinale sia uno strumento di sanità pubblica ormai superato. La libertà di scelta presuppone tuttavia che i cittadini siano correttamente informati, e qui sta il punto dolente dell’informazione operata dai gruppi e movimenti anti-vaccinali che dichiarano di operare “per una scelta consapevole”. Per scoprire gli errori e le inesattezze bisogna essere degli specialisti della materia; come può allora il comune cittadino capire che sta leggendo delle informazioni errate? Come può un genitore fondare la scelta di non vaccinare il proprio figlio su dei documenti non validati scientificamente? Pensiamo sia opportuno informare i genitori sulle tecniche propagandistiche usate da questi movimenti.
Tecniche propagandistiche dei movimenti che si oppongono alle vaccinazioni
Uso di argomentazioni emotive
La comunicazione ha lo scopo di evocare nel pubblico una forte risposta emozionale, con l’obiettivo di affievolire la capacità di filtrare le informazioni per mezzo della razionalità. Spesso vengono usati anche l’ironia ed il sarcasmo.
Storie terrificanti
In genere non mancano descrizioni di persone danneggiate da una vaccinazione, ma queste sono avulse dal contesto in cui si sono verificate e viene taciuta l’informazione sulla frequenza e la gravità delle complicazioni dovute alla malattia; senza contare che molte volte non è scientificamente dimostrabile un nesso tra vaccinazione ed evento avverso (si tratta dei casi in cui la coincidenza è solo temporale ma non esiste un rapporto causa/effetto).
Reiterazione di ipotesi smentite da studi successivi
Spesso si insiste nel presentare come fatti accertati le ipotesi su possibili eventi avversi a vaccino formulate tempo addietro e successivamente smentite da solidi studi epidemiologici (es. vaccino MPR e autismo o malattia di Crohn, vaccino antipertosse e Sindrome della morte improvvisa del lattante, epatite B e sclerosi multipla). Questo atteggiamento dogmatico, tipico degli antivaccinatori, è confermato dall’incapacità di tener conto dei risultati degli studi che mettono in crisi una loro affermazione. Ciò dovrebbe far cogliere al pubblico la differenza tra scienza (esposizione delle evidenze derivate da studi rigorosi) e propaganda (affermazioni infondate che hanno lo scopo di sostenere un’ideologia).
Uso e abuso di statistiche Le statistiche sono usate in modo inappropriato:
- vengono presentati dati non corretti
- vengono presentati dati corretti ma interpretati in modo capzioso
(es: far passare il tetano come una malattia degli anziani, mentre l’attuale elevata incidenza del tetano negli anziani è dovuta al fatto che i bambini e i giovani adulti sono quasi tutti vaccinati).
I grafici
I grafici che illustrano l’andamento nel tempo di una malattia infettiva nel corso degli anni, possono essere presentati in modo fuorviante al fine di far credere che la vaccinazione per quella data malattia sia stata introdotta quando essa ormai stava scomparendo. Quando il dato (incidenza oppure mortalità) è riportato in un grafico come numero di casi su 100.000 anziché come numero assoluto di casi, al lettore potrebbe sfuggire un dettaglio fondamentale: un’incidenza apparentemente bassa (ad esempio 1 su 100.000) in una popolazione numerosa, come quella di un’intera Nazione, può significare centinaia o finanche migliaia di persone. Un altro metodo è quello di riportare soltanto la mortalità (sempre come numero di casi su 100.000) e non l’incidenza, senza considerare che la gravità di una malattia non si misura soltanto basandosi sui decessi ma anche sulle complicanze e gli esiti invalidanti, che sono superiori al numero dei decessi.
Le fonti
Vengono citate fonti non autorevoli, per esempio riviste non scientifiche, oppure vengono citati dei medici privi di credenziali scientifiche nel campo dei vaccini e dell’epidemiologia delle malattie infettive, facendoli passare per grandi studiosi. In altri casi vengono citate fonti autorevoli (studiosi accreditati, autorevoli riviste scientifiche, istituzioni come l’OMS) ma isolando frasi dal contesto del discorso in modo da conferire loro un significato opposto a quello originale. Talora la citazione è corretta ma l’interpretazione è errata. Vengono sovente citati studi “vecchi” superati da altri più recenti.
Far credere che esista una controversia tra gli studiosi
Storie terrificanti
In genere non mancano descrizioni di persone danneggiate da una vaccinazione, ma queste sono avulse dal contesto in cui si sono verificate e viene taciuta l’informazione sulla frequenza e la gravità delle complicazioni dovute alla malattia; senza contare che molte volte non è scientificamente dimostrabile un nesso tra vaccinazione ed evento avverso (si tratta dei casi in cui la coincidenza è solo temporale ma non esiste un rapporto causa/effetto).
Reiterazione di ipotesi smentite da studi successivi
Spesso si insiste nel presentare come fatti accertati le ipotesi su possibili eventi avversi a vaccino formulate tempo addietro e successivamente smentite da solidi studi epidemiologici (es. vaccino MPR e autismo o malattia di Crohn, vaccino antipertosse e Sindrome della morte improvvisa del lattante, epatite B e sclerosi multipla). Questo atteggiamento dogmatico, tipico degli antivaccinatori, è confermato dall’incapacità di tener conto dei risultati degli studi che mettono in crisi una loro affermazione. Ciò dovrebbe far cogliere al pubblico la differenza tra scienza (esposizione delle evidenze derivate da studi rigorosi) e propaganda (affermazioni infondate che hanno lo scopo di sostenere un’ideologia).
Uso e abuso di statistiche Le statistiche sono usate in modo inappropriato:
- vengono presentati dati non corretti
- vengono presentati dati corretti ma interpretati in modo capzioso
(es: far passare il tetano come una malattia degli anziani, mentre l’attuale elevata incidenza del tetano negli anziani è dovuta al fatto che i bambini e i giovani adulti sono quasi tutti vaccinati).
I grafici
I grafici che illustrano l’andamento nel tempo di una malattia infettiva nel corso degli anni, possono essere presentati in modo fuorviante al fine di far credere che la vaccinazione per quella data malattia sia stata introdotta quando essa ormai stava scomparendo. Quando il dato (incidenza oppure mortalità) è riportato in un grafico come numero di casi su 100.000 anziché come numero assoluto di casi, al lettore potrebbe sfuggire un dettaglio fondamentale: un’incidenza apparentemente bassa (ad esempio 1 su 100.000) in una popolazione numerosa, come quella di un’intera Nazione, può significare centinaia o finanche migliaia di persone. Un altro metodo è quello di riportare soltanto la mortalità (sempre come numero di casi su 100.000) e non l’incidenza, senza considerare che la gravità di una malattia non si misura soltanto basandosi sui decessi ma anche sulle complicanze e gli esiti invalidanti, che sono superiori al numero dei decessi.
Le fonti
Vengono citate fonti non autorevoli, per esempio riviste non scientifiche, oppure vengono citati dei medici privi di credenziali scientifiche nel campo dei vaccini e dell’epidemiologia delle malattie infettive, facendoli passare per grandi studiosi. In altri casi vengono citate fonti autorevoli (studiosi accreditati, autorevoli riviste scientifiche, istituzioni come l’OMS) ma isolando frasi dal contesto del discorso in modo da conferire loro un significato opposto a quello originale. Talora la citazione è corretta ma l’interpretazione è errata. Vengono sovente citati studi “vecchi” superati da altri più recenti.
Far credere che esista una controversia tra gli studiosi
Consiste nel far credere che all’interno della comunità scientifica esista una contrapposizione tra sostenitori e oppositori delle vaccinazioni. Tra gli studiosi che si occupano di vaccinazioni il dibattito è continuo e riguarda tutti gli aspetti dell’immunizzazione; ma non esiste chi è pregiudizialmente contrario alle vaccinazioni in genere, perché il modo di ragionare scientifico è laico e non dogmatico. Ci può quindi essere una controversia, per fare un esempio recente, tra chi sostiene di introdurre il vaccino contro lo pneumococco nei programmi di vaccinazione pediatrica e chi preferisce limitarlo ad alcune categorie a rischio, ma nessuno è “contro le vaccinazioni”, così come nessuno è “contro gli antibiotici”. Tuttavia, poiché le persone non sono tutte uguali e, come dice un proverbio spagnolo, “ogni testa è un mondo a sé”, esiste una quota minoritaria di medici che si dicono contrari alle vaccinazioni così come sono contrari a tutti gli altri farmaci della medicina scientifica; alcuni hanno anche scritto dei libri sull’argomento, che spesso vengono citati dagli oppositori alle vaccinazioni, ma si tratta di posizioni minoritarie.
Raccontare mezze verità
Raccontare mezze verità
Comunicare una mezza verità, in tutti i campi dell’agire umano, spesso fa più danno che dire una bugia intera. Ecco un esempio: “i vaccini possono causare shock anafilattico”. Lo shock anafilattico è la forma più grave di allergia, e naturalmente chi legge la notizia si spaventa. Ma questa è una mezza verità. La verità intera è questa: “i vaccini possono causare shock anafilattico, ma questo evento è eccezionale: per esempio su 70 milioni di dosi di vaccino morbillo somministrate negli USA in dieci anni, sono stati notificati solo 33 casi di reazione allergica grave”. Molte altre mezze verità sono disseminate negli scritti degli antivaccinatori, ma per scoprirle occorre essere esperti della materia.
Prospettare rischi nel lungo periodo
La tecnica consiste nell’insinuare che anche il più sicuro dei vaccini potrebbe determinare dei danni che si rendono visibili dopo un lungo periodo (“non sappiamo che cosa succederà tra 20 anni a tutti i bambini che state vaccinando adesso”). In base a questo modo di pensare, quanti anni (o decine di anni) dovrebbe aspettare una persona per decidere di vaccinare il proprio figlio?
In realtà con il passare degli anni si è visto che i vaccini sono più sicuri di quello che si pensava e che varie ipotesi sul rapporto tra determinati vaccini e alcune reazioni indesiderate gravi sono state smentite.
La cosa paradossale è che, mentre si insiste nel presentare ipotesi non verificate da studi seri, le malattie prevenibili con la vaccinazione determinano, nei non vaccinati, danni certi e verificabili.
La teoria del complotto
Prospettare rischi nel lungo periodo
La tecnica consiste nell’insinuare che anche il più sicuro dei vaccini potrebbe determinare dei danni che si rendono visibili dopo un lungo periodo (“non sappiamo che cosa succederà tra 20 anni a tutti i bambini che state vaccinando adesso”). In base a questo modo di pensare, quanti anni (o decine di anni) dovrebbe aspettare una persona per decidere di vaccinare il proprio figlio?
In realtà con il passare degli anni si è visto che i vaccini sono più sicuri di quello che si pensava e che varie ipotesi sul rapporto tra determinati vaccini e alcune reazioni indesiderate gravi sono state smentite.
La cosa paradossale è che, mentre si insiste nel presentare ipotesi non verificate da studi seri, le malattie prevenibili con la vaccinazione determinano, nei non vaccinati, danni certi e verificabili.
La teoria del complotto
Poiché la comunità scientifica è così saldamente schierata a favore delle vaccinazioni, qualcuno ha ideato la teoria del complotto: le Università, gli Enti governativi che si occupano di prevenzione delle malattie infettive, le Associazioni scientifiche di Pediatri e Igienisti, i singoli medici e le industrie produttrici lavorerebbero insieme in una logica di puro profitto, perché la vaccinazione di massa rappresenta un grosso business. Coinvolgere tutte queste persone (decine di migliaia in tutto il mondo) in un unico complotto è tuttavia molto difficile, a meno di
non pensare che il 99,9% dei medici e pediatri siano disonesti. Peraltro la vaccinazione di massa, diminuendo la frequenza della complicazioni, diminuisce anche il numero dei farmaci che servono per curarle: è infatti dimostrato che vaccinare è un investimento per la nostra società, perché produce una diminuzione dei ricoveri ospedalieri e del consumo di farmaci. Inoltre, pochi sanno che la spesa complessiva per i vaccini è enormemente inferiore a quella di alcuni farmaci di uso comune. Per esempio, in Italia il costo sostenuto nel 2006 dal Servizio sanitario per le prescrizioni di un solo farmaco (omeprazolo, usato per la cura dell’ulcera peptica e del reflusso gastro-esofageo) ha superato largamente il costo sostenuto per acquistare tutti i vaccini (AIFA, 2007).
Detto questo, è opportuno sottolineare che in tempi recenti, specialmente nei Paesi anglosassoni, è iniziato un dibattito sul conflitto di interessi in Medicina e sui rischi che la libertà di ricerca scientifica potrebbe correre sotto la pressione degli interessi economici delle aziende produttrici di farmaci e dispositivi medici. I settori più sensibili della comunità scientifica hanno ben presente questa problematica, e sono ormai numerose le pubblicazioni e gli studi sull’argomento. Pensiamo tuttavia che sia evidente l’enorme differenza, prima di tutto metodologica, tra le teorie complottistiche dei movimenti contrari alle vaccinazioni e il libero dibattito che, all’interno e fuori della comunità scientifica, si sta sviluppando su questo tema.
Ripetere continuamente affermazioni non corrette, sino a che non appaiono veritiere.
Di alcune, come la controversia sull’autismo, abbiamo già parlato. Tuttavia ve ne sono molte altre, cui è dedicato il prossimo paragrafo: le leggende sui vaccini.
non pensare che il 99,9% dei medici e pediatri siano disonesti. Peraltro la vaccinazione di massa, diminuendo la frequenza della complicazioni, diminuisce anche il numero dei farmaci che servono per curarle: è infatti dimostrato che vaccinare è un investimento per la nostra società, perché produce una diminuzione dei ricoveri ospedalieri e del consumo di farmaci. Inoltre, pochi sanno che la spesa complessiva per i vaccini è enormemente inferiore a quella di alcuni farmaci di uso comune. Per esempio, in Italia il costo sostenuto nel 2006 dal Servizio sanitario per le prescrizioni di un solo farmaco (omeprazolo, usato per la cura dell’ulcera peptica e del reflusso gastro-esofageo) ha superato largamente il costo sostenuto per acquistare tutti i vaccini (AIFA, 2007).
Detto questo, è opportuno sottolineare che in tempi recenti, specialmente nei Paesi anglosassoni, è iniziato un dibattito sul conflitto di interessi in Medicina e sui rischi che la libertà di ricerca scientifica potrebbe correre sotto la pressione degli interessi economici delle aziende produttrici di farmaci e dispositivi medici. I settori più sensibili della comunità scientifica hanno ben presente questa problematica, e sono ormai numerose le pubblicazioni e gli studi sull’argomento. Pensiamo tuttavia che sia evidente l’enorme differenza, prima di tutto metodologica, tra le teorie complottistiche dei movimenti contrari alle vaccinazioni e il libero dibattito che, all’interno e fuori della comunità scientifica, si sta sviluppando su questo tema.
Ripetere continuamente affermazioni non corrette, sino a che non appaiono veritiere.
Di alcune, come la controversia sull’autismo, abbiamo già parlato. Tuttavia ve ne sono molte altre, cui è dedicato il prossimo paragrafo: le leggende sui vaccini.
Leggende sui vaccini
Comunemente si dice che la nostra è la società dell’informazione. In effetti in nessuna epoca storica le notizie e le informazioni hanno mai circolato così rapidamente come nella nostra. I mezzi per diffondere le notizie non sono più soltanto i giornali come alcuni decenni fa, ma ad essi si sono affiancati radio, televisione e internet.
Siamo quindi sommersi quotidianamente da un’enorme quantità di notizie ed informazioni. Esiste tuttavia una questione cruciale: secondo voi questo aumento impressionante della circolazione delle informazioni è accompagnato da un proporzionale aumento della qualità dell’informazione? Molti indizi ci fanno rispondere:
no, anzi la maggior parte delle informazioni che circolano sono di pessima qualità, al punto che questa sovrabbondante massa di notizie rischia di risultare equivalente a nessuna informazione. Nessun settore è risparmiato da questo problema, ma vi sono alcuni settori sensibili, come quello della salute, in cui la qualità dell’informazione è veramente bassa. Ciò è vero in particolare per quanto riguarda i vaccini, argomento sul quale sono fiorite delle vere e proprie leggende. Alcune circolano su siti internet o su varie pubblicazioni contro i vaccini, altre sono diffuse con una specie di passaparola. Passiamo ora in rassegna alcune tra le più diffuse leggende sui vaccini. Ogni leggenda è riportata in corsivo, seguita dalla sua confutazione.
La leggenda: “Non serve vaccinarsi contro il tetano, perché in pronto soccorso somministrano il vaccino a tutte le persone che si sono ferite”La realtà: esistono precise regole sul trattamento dei pazienti che si sono feriti. La decisione su quale profilassi adottare varia in base all’entità della ferita e al tempo trascorso dall’ultima vaccinazione antitetanica. Se la ferita non è di minore entità, in presenza di vaccinazione mancante o incompleta o stato vaccinale incerto, occorre somministrare contemporaneamente anche le immunoglobuline antitetano. Queste ultime sono costituite da anticorpi estratti dal plasma di donatori e servono per bloccare la tossina tetanica nelle prime settimane, ossia quando il vaccino non ha ancora stimolato la produzione di anticorpi da parte del sistema immunitario del paziente. Questo ovviamente solo per le persone non vaccinate o vaccinate in modo incompleto. Le persone vaccinate in modo completo rispondono prontamente ad una dose di richiamo e pertanto non necessitano di immunoglobuline. Per vaccinazione incompleta si intende la somministrazione di 1 oppure 2 dosi.
Come abbiamo già detto a proposito del caso di tetano in un bambino piemontese non vaccinato, 1 o 2 dosi non sono sufficienti per considerare il soggetto immune. Dopo 3 dosi il soggetto è invece considerato vaccinato contro il tetano. Da quel momento in poi, anche se si ferisce a distanza di molti anni dal completamento della vaccinazione o dall’ultimo richiamo, il soggetto riceve solo 1 dose di richiamo, non necessita di immunoglobuline né di iniziare la vaccinazione da capo.
La leggenda: “Il tetano è facilmente curabile con i sali di magnesio”
Siamo quindi sommersi quotidianamente da un’enorme quantità di notizie ed informazioni. Esiste tuttavia una questione cruciale: secondo voi questo aumento impressionante della circolazione delle informazioni è accompagnato da un proporzionale aumento della qualità dell’informazione? Molti indizi ci fanno rispondere:
no, anzi la maggior parte delle informazioni che circolano sono di pessima qualità, al punto che questa sovrabbondante massa di notizie rischia di risultare equivalente a nessuna informazione. Nessun settore è risparmiato da questo problema, ma vi sono alcuni settori sensibili, come quello della salute, in cui la qualità dell’informazione è veramente bassa. Ciò è vero in particolare per quanto riguarda i vaccini, argomento sul quale sono fiorite delle vere e proprie leggende. Alcune circolano su siti internet o su varie pubblicazioni contro i vaccini, altre sono diffuse con una specie di passaparola. Passiamo ora in rassegna alcune tra le più diffuse leggende sui vaccini. Ogni leggenda è riportata in corsivo, seguita dalla sua confutazione.
La leggenda: “Non serve vaccinarsi contro il tetano, perché in pronto soccorso somministrano il vaccino a tutte le persone che si sono ferite”La realtà: esistono precise regole sul trattamento dei pazienti che si sono feriti. La decisione su quale profilassi adottare varia in base all’entità della ferita e al tempo trascorso dall’ultima vaccinazione antitetanica. Se la ferita non è di minore entità, in presenza di vaccinazione mancante o incompleta o stato vaccinale incerto, occorre somministrare contemporaneamente anche le immunoglobuline antitetano. Queste ultime sono costituite da anticorpi estratti dal plasma di donatori e servono per bloccare la tossina tetanica nelle prime settimane, ossia quando il vaccino non ha ancora stimolato la produzione di anticorpi da parte del sistema immunitario del paziente. Questo ovviamente solo per le persone non vaccinate o vaccinate in modo incompleto. Le persone vaccinate in modo completo rispondono prontamente ad una dose di richiamo e pertanto non necessitano di immunoglobuline. Per vaccinazione incompleta si intende la somministrazione di 1 oppure 2 dosi.
Come abbiamo già detto a proposito del caso di tetano in un bambino piemontese non vaccinato, 1 o 2 dosi non sono sufficienti per considerare il soggetto immune. Dopo 3 dosi il soggetto è invece considerato vaccinato contro il tetano. Da quel momento in poi, anche se si ferisce a distanza di molti anni dal completamento della vaccinazione o dall’ultimo richiamo, il soggetto riceve solo 1 dose di richiamo, non necessita di immunoglobuline né di iniziare la vaccinazione da capo.
La leggenda: “Il tetano è facilmente curabile con i sali di magnesio”
La realtà: le affermazioni sulla terapia con sali di magnesio rappresentano una ”mezza verità”, infatti tra i vari farmaci che si utilizzano per curare il tetano c’è anche il solfato di magnesio; tuttavia dobbiamo sottolineare i seguenti fatti (Thwaites 2003):
- non esiste un farmaco che da solo è in grado di guarire dal tetano;
- il malato di tetano è sempre un paziente in condizioni cliniche critiche, tanto è vero che i casi di tetano generalizzato (la forma più frequente e grave di tetano) richiedono sempre il ricovero in rianimazione (terapia intensiva);
- quando il paziente guarisce, ciò è dovuto all’insieme dei trattamenti che vengono messi in atto in un’unità di terapia intensiva.
La leggenda: “Non occorre vaccinarsi contro il tetano, perché in caso di ferita il rischio di tetano può essere facilmente eliminato utilizzando l’acqua ossigenata”
- non esiste un farmaco che da solo è in grado di guarire dal tetano;
- il malato di tetano è sempre un paziente in condizioni cliniche critiche, tanto è vero che i casi di tetano generalizzato (la forma più frequente e grave di tetano) richiedono sempre il ricovero in rianimazione (terapia intensiva);
- quando il paziente guarisce, ciò è dovuto all’insieme dei trattamenti che vengono messi in atto in un’unità di terapia intensiva.
La leggenda: “Non occorre vaccinarsi contro il tetano, perché in caso di ferita il rischio di tetano può essere facilmente eliminato utilizzando l’acqua ossigenata”
La realtà: l’acqua ossigenata è dannosa per i tessuti e il suo uso nella detersione e disinfezione delle ferite non è ammesso (Singer 1997). Se ciò può essere irrilevante nelle ferite di entità minima, assume una particolare importanza in tutti gli altri tipi di ferita, soprattutto quando è necessaria l’applicazione dei punti di sutura o delle strisce adesive che talora sono usate in sostituzione dei punti. Nessun chirurgo si sognerebbe mai di trattare una ferita con acqua ossigenata! In letteratura sono descritti casi di tetano anche dopo un’accurata detersione della ferita effettuata da un chirurgo. Ecco perché la già descritta profilassi del tetano è essenziale.
La leggenda: “Le malattie come polio e difterite iniziavano già a diminuire naturalmente prima che si iniziasse a vaccinare”
La realtà: questa considerazione non tiene conto del fatto che si tratta di malattie soggette a riaccensioni epidemiche (con molti nuovi casi in un ristretto periodo di tempo) seguite da periodi interepidemici (con pochi casi). I periodi interepidemici durano circa 2-3 anni e sono seguiti da una nuova epidemia. Quando un programma di vaccinazione inizia durante un periodo interepidemico (cioè un periodo di pausa tra due epidemie) solo apparentemente i casi sembrano già spontaneamente diminuiti. In realtà, in assenza di vaccinazione, sono necessari due-tre anni perché si ricostituisca il cosiddetto serbatoio dei suscettibili, cioè le persone non immuni devono accumularsi per un po’ di tempo prima di dar luogo ad una nuova epidemia.
La leggenda: “L’immunità da vaccino è molto meno efficace di quella naturale”
La realtà: la vaccinazione non è mai un atto individuale. Non si vaccina il singolo bambino, si vaccina una popolazione. Esistono quindi due aspetti: la protezione del singolo e la protezione della collettività tramite l’immunità di gruppo. Per quanto riguarda la protezione del singolo, è vero che alcune vaccinazioni producono una risposta immunitaria inferiore rispetto a quella indotta dalla malattia. Tuttavia questo inconveniente è compensato dal fatto che i programmi di vaccinazione estendono questa immunità a tutti. Ecco perché, nei Paesi in cui le strategie vaccinali sono state applicate con rigore e coerenza, le malattie prevenibili con la vaccinazione sono scomparse (polio e difterite in molti Paesi; morbillo, parotite e rosolia in Finlandia ecc).
Prendiamo ad esempio il morbillo e la rosolia. Nei Paesi sviluppati tutti i bambini (maschi e femmine) vengono vaccinati contro morbillo, parotite e rosolia a 12 – 15 mesi una prima volta e a 5-6 anni una seconda volta. Gli studi condotti sul lungo termine (sino a decenni dopo la vaccinazione) dimostrano la presenza di anticorpi dosabili nella grande maggioranza dei vaccinati. Se a questa lunga durata della protezione si abbina un’elevata percentuale di vaccinati, si ottiene come risultato l’eliminazione del morbillo e della rosolia congenita.
Peraltro vi sono malattie, come il tetano e la difterite, in cui l’immunità naturale è poco protettiva. Infatti chi ha superato queste due malattie deve comunque essere vaccinato, perché – pur essendo sopravvissuto alla malattia naturale – l’immunità che ha sviluppato è debole e non duratura. La pertosse induce un’immunità che dura in genere non più di 15 anni. Ecco perché attualmente la pertosse è più frequente tra gli adolescenti e adulti piuttosto che tra i bambini: una persona che ha superato la pertosse nell’infanzia può riammalarsi in età adulta. Tra i bambini non vediamo più le grandi epidemie di pertosse del passato, perché sono quasi tutti vaccinati. Quindi è più facile che il batterio della pertosse circoli tra gli adolescenti e adulti, inclusi coloro che hanno superato la malattia naturale. Queste persone possono trasmettere la pertosse ai bambini non vaccinati o perché ancora troppo piccoli (bambini da 0 a 2 mesi di età) o perché i loro genitori hanno rifiutato la vaccinazione. Chi da bambino è stato vaccinato contro la pertosse può invece continuare ad essere protetto, perché in occasione del richiamo decennale contro il tetano può contemporaneamente ricevere un richiamo contro la difterite e la pertosse (esiste un prodotto trivalente specifico per gli adolescenti e adulti).
Prendiamo ad esempio il morbillo e la rosolia. Nei Paesi sviluppati tutti i bambini (maschi e femmine) vengono vaccinati contro morbillo, parotite e rosolia a 12 – 15 mesi una prima volta e a 5-6 anni una seconda volta. Gli studi condotti sul lungo termine (sino a decenni dopo la vaccinazione) dimostrano la presenza di anticorpi dosabili nella grande maggioranza dei vaccinati. Se a questa lunga durata della protezione si abbina un’elevata percentuale di vaccinati, si ottiene come risultato l’eliminazione del morbillo e della rosolia congenita.
Peraltro vi sono malattie, come il tetano e la difterite, in cui l’immunità naturale è poco protettiva. Infatti chi ha superato queste due malattie deve comunque essere vaccinato, perché – pur essendo sopravvissuto alla malattia naturale – l’immunità che ha sviluppato è debole e non duratura. La pertosse induce un’immunità che dura in genere non più di 15 anni. Ecco perché attualmente la pertosse è più frequente tra gli adolescenti e adulti piuttosto che tra i bambini: una persona che ha superato la pertosse nell’infanzia può riammalarsi in età adulta. Tra i bambini non vediamo più le grandi epidemie di pertosse del passato, perché sono quasi tutti vaccinati. Quindi è più facile che il batterio della pertosse circoli tra gli adolescenti e adulti, inclusi coloro che hanno superato la malattia naturale. Queste persone possono trasmettere la pertosse ai bambini non vaccinati o perché ancora troppo piccoli (bambini da 0 a 2 mesi di età) o perché i loro genitori hanno rifiutato la vaccinazione. Chi da bambino è stato vaccinato contro la pertosse può invece continuare ad essere protetto, perché in occasione del richiamo decennale contro il tetano può contemporaneamente ricevere un richiamo contro la difterite e la pertosse (esiste un prodotto trivalente specifico per gli adolescenti e adulti).
La leggenda: “malattie come il morbillo una volta non erano considerate pericolose: da quando c’è il vaccino vogliono farci credere che si tratti di malattie serie per convincerci a vaccinare i nostri figli”
La realtà: più di un secolo fa i testi di Malattie Infettive già descrivevano il morbillo come una malattia potenzialmente grave. Abbiamo recuperato un testo tedesco del 1896 in cui le possibili complicazioni della malattia sono descritte in modo preciso (Dippe 1896): è rimarchevole il fatto che in un’epoca in cui la causa del morbillo era ancora sconosciuta, l’autore del testo descriva con molti dettagli le complicazioni della malattia che conosciamo bene ancor oggi, includendo tra queste anche la possibile sovrapposizione di infezioni batteriche. Introducendo la descrizione delle complicazioni l’autore scrive: “I sintomi possono essere complessivamente di scarsa entità oppure, all’opposto, si possono presentare in modo molto violento, sicché noi ci troviamo ad avere a che fare con una grave malattia”.
Prima che si avviassero programmi di vaccinazione contro il morbillo, questa malattia causava in Italia periodicamente delle importanti epidemie. Il numero dei decessi per morbillo in Italia è ricavabile dai dati ISTAT. Il grafico che segue riporta i casi di morte dovuta al morbillo nel periodo 1979-1994.
Prima che si avviassero programmi di vaccinazione contro il morbillo, questa malattia causava in Italia periodicamente delle importanti epidemie. Il numero dei decessi per morbillo in Italia è ricavabile dai dati ISTAT. Il grafico che segue riporta i casi di morte dovuta al morbillo nel periodo 1979-1994.
La leggenda: “L’Italia è l’unico Paese europeo in cui si effettuano le vaccinazioni, all’estero i bambini vaccinati sono invece molto pochi”
La realtà: questa leggenda può essere facilmente smentita andando a cercare i dati sui programmi di vaccinazione e sulle coperture vaccinali raggiunte nei vari Paesi europei e nel mondo. Vi accorgerete che all’estero la percentuale dei bambini vaccinati è pari o superiore a quella degli italiani.
E’ sufficiente consultare i seguenti siti:
ECDC (Europa)
http://ecdc.europa.eu/en/activities/surveillance/euvac/schedules/Pages/schedules.aspx
Health Protection Agency (Regno Unito)
http://www.hpa.org.uk/Topics/InfectiousDiseases/InfectionsAZ/VaccineCoverageAndCOVER/
Das Informationssystem der Gesundheitsberichterstattung des Bundes (Germania)
http://www.gbe-bund.de/
WHO Vaccine Preventable Diseases Monitoring System (tutto il mondo)
www.who.int/immunization_monitoring/en/globalsummary/countryprofileselect.cfm
E’ sufficiente consultare i seguenti siti:
ECDC (Europa)
http://ecdc.europa.eu/en/activities/surveillance/euvac/schedules/Pages/schedules.aspx
Health Protection Agency (Regno Unito)
http://www.hpa.org.uk/Topics/InfectiousDiseases/InfectionsAZ/VaccineCoverageAndCOVER/
Das Informationssystem der Gesundheitsberichterstattung des Bundes (Germania)
http://www.gbe-bund.de/
WHO Vaccine Preventable Diseases Monitoring System (tutto il mondo)
www.who.int/immunization_monitoring/en/globalsummary/countryprofileselect.cfm
Per concludere, riportiamo i link di alcuni autorevoli siti internet sui vaccini
In italiano: www.epicentro.iss.it
In inglese:
http://www.who.int/immunization/en/
http://www.who.int/topics/vaccines/en/
http://www.cdc.gov/vaccines/
www.immunize.org
http://www.chop.edu/service/vaccine-education-center/home.html
In tedesco: http://www.rki.de/cln_179/DE/Content/Infekt/Impfen/impfen__node.html
In francese: http://www.mesvaccins.net/home/index.php
http://www.sante.gouv.fr/vaccinations-vaccins-politique-vaccinale.html
Bibliografia
ACIP. General recommendations on immunization: recommendations of the Advisory Committee on Immunization Practices.
2011;60 (RR02):1-60 http://www.cdc.gov/mmwr/pdf/rr/rr6002.pdf
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agli Autori: Dr. Giovanni Ara (Dipartimento di Prevenzione ASL Biella, Regione Piemonte)
Dr. Franco Giovanetti (Dipartimento di Prevenzione ASL Alba Bra, Regione Piemonte)
per concessione pubblicazione sul blog