martedì 6 ottobre 2015

Roma o Lazio ?
















Roma o Lazio ? potrebbe essere l'esatto contrario.
Guardate la purezza d'animo di bambini ....


lunedì 5 ottobre 2015

Omeopatia : " i medici non dovrebbero prescriverla ed i farmacisti non dovrebbero venderla"



Inserisco nel mio blog questo articolo pubblicato su "quotidianosanità.it. Spero vi faccia riflettere.

Omeopatia. Il nuovo libro di Silvio Garattini: “Medici non dovrebbero prescriverla e farmacisti non dovrebbero venderla. Ema ed Aifa non sprechino tempo e denaro per occuparsi del nulla”

L’Europa, attraverso le sue agenzie, non dovrebbe nemme­no prendere in considerazione questo tipo di preparati. Prescrivere rimedi omeopatici per una malattia, quando esistono prodotti efficaci, è una sottrazio­ne di terapia e le farmacie, se vogliono essere luoghi di educazione alla salute, non possono continuare a vende­re come trattamenti sanitari prodotti che non contengono princi­pi attivi

05 OTT - Pubblichiamo in anteprima, per gentile concessione dell'Editore Sironi, le conclusioni del volume appena editato “Acqua fresca? Tutto quello che bisogna sapere sull’omeopatia”, curato da Silvio Garattini con i contributi di diversi ricercatori dell’IRCCS Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri.

Nel dibattito pubblico pare che il giudizio sull’omeopatia non possa mai trovare un punto fermo. Anche di fronte alle ricerche più affidabili, circostanziate ed esplicite, che mostrano l’ineffica­cia dell’omeopatia, c’è sempre qualcuno che rilancia e ripropo­ne la questione in termini invariati, come se non fosse accaduto nulla.

L’ultimo esempio, nel marzo 2015. Il principale ente di ricer­ca medico australiano, il National Health and Medical Research Council, diffonde un rapporto (citato più volte in questo volume) in cui si conclude che «non ci sono malattie o condizioni cliniche per cui risulti una evidenza affidabile che l’omeopatia sia efficace. Le persone che la scelgono possono mettere a rischio la propria salute se rifiutano o ritardano trattamenti per cui c’è una buona evidenza di sicurezza ed efficacia».
 
A dispetto dell’enorme lavoro di analisi, selezione e valutazio­ne di studi compiuto da una tale istituzione e condotto in tutte le sue fasi secondo criteri rigorosi, espliciti e verificabili; a dispetto della discussione ampia e aperta ai contributi di omeopati e no, durata ben due anni, c’è chi, almeno in Italia, riesce a riproporre le stesse affermazioni che si sentono da decenni o ragionamenti pre-scientifici che puntano a confondere le acque.
 
Per esempio: “La cosa che più colpisce di questo lavoro è l’idea originaria di fare una valutazione complessiva su una strategia terapeutica. Le revisioni, al contrario, di norma si fanno su un farmaco o al massimo su una categoria di farmaci per una deter­minata patologia, come per esempio sugli antibiotici per trattare alcune patologie, ma mai su una strategia terapeutica per trattare una varietà di patologie”.
 
O ancora: “È da decenni che si documentano studi positivi sui medicinali omeopatici per diverse patologie, tutti pubblicati su riviste scientifiche indicizzate. Perché di questo nessuno parla?”.
 
Ma il rapporto australiano ha fatto proprio quello di cui si la­menta la mancanza nelle due dichiarazioni citate! Il giudizio ge­nerale di inefficacia per la “strategia” omeopatica è emerso infatti dalla valutazione di molti e singoli rimedi in rapporto alle malat­tie per cui venivano indicati. L’inefficacia dell’omeopatia per 70 patologie è stata ricavata dall’analisi di studi, compresi quelli con esiti positivi che tuttavia spesso dimostrano poi di essere inaffida­bili dal punto di vista qualitativo.
 
Ma chi vuole confondere le acque sa che il lettore medio di un giornale non ha il tempo di andarsi a leggere un rapporto medico in inglese. Assorbe quel che riporta l’articolo (spesso costruito ri­portando in modo acritico opinioni pro e contro, senza alcun fact checking) e su quello basa la propria opinione...
 
La difficoltà – per una persona normale che non possa fre­quentare le riviste mediche – di raccogliere informazioni affidabi­li è la ragione per cui, in questo volume, abbiamo cercato di forni­re al lettore un po’ la storia e un po’ lo stato dell’arte della pratica omeopatica, nei suoi rapporti con le istituzioni e con il mondo della medicina; ma soprattutto abbiamo cercato di richiamare le ragioni scientifiche che invalidano gli assunti terapeutici dell’o­meopatia e dei suoi rimedi e di decostruire i tanti luoghi comuni e infondati che circolano al riguardo.
 
Tra questi il più tenace è quello che recita: non sappiamo come funzioni l’omeopatia, ma funziona. Abbiamo visto in queste pa­gine non solo che l’omeopatia “non può” funzionare perché in contrasto con tutti i principi fondamentali della chimica-fisica, ma anche che in effetti non funziona, come risulta da un secolo e mezzo di prove a sfavore.
 
Eppure, esistono in circolazione oltre 25.000 prodotti ome­opatici che, nella maggior parte dei casi, non contengono nem­meno una molecola del supposto principio attivo. Questi, per di più, sono venduti a costi del tutto esagerati rispetto al loro valore intrinseco.
 
Abbiamo evidenziato le ragioni per cui, in un Paese civile, si­mili prodotti non dovrebbero essere disponibili non solo in far­macia, ma nemmeno sul mercato perché rappresentano un’ec­cezione rispetto a tutti i prodotti che si trovano in commercio: immaginate se si vendesse acqua in bottiglia, con un’etichetta che la dichiari «vino in diluizione omeopatica», ma a un costo molto superiore del vero vino!
 
L’Europa, attraverso le sue agenzie, non dovrebbe nemme­no prendere in considerazione questo tipo di preparati. Non ha infatti alcun senso che una legislazione si occupi di prodotti che non contengono nulla, che le autorità regolatorie (EMA) o agenzie nazionali (in Italia AIFA) spendano tempo e danaro per occuparsi del nulla, che siano mobilitate Commissioni per fare valutazioni che non hanno significato.
 
È difficile sostenere che il Servizio sanitario nazionale debba rimborsare i prodotti omeopatici – in assenza di evidenza di ef­ficacia – anche perché sarebbe un precedente: come si potrebbe negare allora il rimborso di una serie di altri prodotti che fanno parte della ciarlataneria o non rimborsare, per assurdo, anche le presunte prestazioni dei maghi guaritori?
 
Come diceva, ben dieci anni fa, il celebre editoriale di The Lancet: «È sconcertante il fatto che questo dibattito [sull’omeopa­tia] continui, a dispetto di 150 anni di prove sfavorevoli. […] Di certo è ormai passato il tempo delle analisi selettive, delle relazio­ni distorte, o per ulteriori investimenti in ricerche che perpetuino il dibattito omeopatia versus allopatia».
 
Sposando questa impostazione, riteniamo che ormai ricercato­ri e clinici non dovrebbero più perdere il proprio tempo a valutare rimedi che, non contenendo principi attivi, non hanno il minimo requisito per poter essere considerati potenzialmente efficaci.
È vero, però, che i medici dovrebbero essere molto più co­scienti della propria missione. Prescrivere rimedi omeopatici per una malattia, quando esistono prodotti efficaci, è una sottrazio­ne di terapia e rappresenta una grave omissione nei confronti del paziente che attende una cura. Pur se indiretti, non sono pochi i danni gravi e la mortalità dovuti alla somministrazione di prodot­ti omeopatici.
 
Nemmeno prescrivere prodotti omeopatici, descrivendoli come complementari in aggiunta a trattamenti efficaci, è corretto deontologicamente; vuol dire imbrogliare il paziente, penaliz­zandolo per giunta con una spesa inutile. Il medico deve saper sfruttare di più il suo rapporto empatico con il paziente per tra­smettere un effetto placebo in rapporto con la somministrazione del miglior trattamento possibile. Come consigliava sempre l’e­ditoriale di The Lancet: «Ora i medici devono diventare più onesti con i loro pazienti circa l’assenza di benefici dell’omeopatia, ma anche con sé stessi sulle carenze della medicina attuale, corri­spondendo al bisogno delle persone di un modello di assistenza personalizzata».
 
Forse le università pubbliche dovrebbero più occuparsi di for­mare i futuri medici a una migliore capacità di ascolto dei pro­pri pazienti, e cessare dall’organizzare corsi e rilasciare master in medicina alternativa; questo crea confusione e legittima impro­priamente i loro trattamenti come fossero di pari rango con quelli della medicina scientifica. Tutto ciò è in contrasto con la missione dell’università di indirizzare il più possibile gli studenti verso la medicina basata sull’evidenza.
 
Per la stessa ragione, gli Ordini dei Medici dovrebbero disso­ciarsi dalle pratiche mediche che non hanno una base scientifica e non avallare le scelte che non sono nell’alveo di una medicina che viva di evidenze anziché di impressioni. Grave è la responsa­bilità di continuare ad accogliere per ragioni corporative medici omeopati o seguaci di altre terapie alternative per paura che co­stituiscano organizzazioni parallele. Con il tempo, i cittadini e i pazienti saprebbero certamente giudicare.
 
Analogo ragionamento vale per le farmacie: se vogliono essere luoghi di educazione alla salute non possono continuare a vende­re come trattamenti sanitari prodotti che non contengono princi­pi attivi. I farmacisti dovrebbero vergognarsi all’idea di avere nei propri scaffali prodotti a cui si potrebbero scambiare a caso le eti­chette senza alcuna conseguenza: nessuno se ne potrebbe accor­gere perché tutti i flaconi di prodotti omeopatici sono tra loro in­distinguibili, dato che non contengono principi attivi misurabili. Anziché decorare le farmacie con la scritta luminosa “omeopatia” i farmacisti dovrebbero rifiutarsi di vendere questi preparati, la­sciando ad altri negozi tale commercio. In questo modo i prodotti omeopatici prenderebbero agli occhi dell’opinione pubblica lo scarso valore che gli compete e i medici sarebbero per lo meno imbarazzati all’idea di prescrivere prodotti che nei supermercati stanno sullo stesso scaffale delle bibite energizzanti.
 
Lo Stato non può ovviamente impedire ai suoi cittadini di curarsi nel modo che ritengono più opportuno, ma certamente non deve promuovere l’adozione di trattamenti che contrastano l’evidenza scientifica: attraverso il Servizio sanitario nazionale, dovrebbe svolgere campagne per una corretta informazione sulla inefficacia dei prodotti omeopatici. Lo Stato non può legittima­re – attraverso corsi di formazione e regolamentazioni – terapie che non hanno alcuna base scientifica, così come non si occupa di formare gli operatori dell’astrologia o degli oroscopi e di regola­mentare queste attività.
 
Silvio Garattini

05 ottobre 2015



mercoledì 17 giugno 2015




Questo articolo scritto da mio figlio Leonardo lo pubblico con grande soddisfazione sul mio blog.


Spero che la sua penna faccia riflettere sulla importanza delle vaccinazioni



Una grave malattia infettiva, che si trasmette per via aerea e che in Italia causava circa mille morti l’anno. È la difterite, e dopo 30 anni dalla sua scomparsa è tornata in Europa. Il caso riguarda un bambino spagnolo di 6 anni che è risultato positivo ai test. Per lui è stato difficile trovare un antisiero, che è stato fatto arrivare da un Paese extra Ue: nel corso degli anni infatti il livello di guardia verso malattie che si pensa debellate si è abbassato, e molti farmaci non vengono più prodotti. Compresi i vaccini, che da soli basterebbero a garantire la protezione da questi pericolosi batteri. Non a caso l’Istituto Superiore della Sanità poco tempo fa ha lanciato l’allarme verso il pericoloso calo di attenzione per le patologie, come la difterite, che sono state “dimenticate”.

Il caso – Il bambino non vaccinato risiede a Olot, nella provincia di Girona, ed era risultato positivo a una difterite tossicogenica dopo l’analisi molecolare PCR e il test di Elek. La Spagna ha quindi inviato all’Organizzazione Mondiale di Sanità e agli Stati membri dell’Unione Europea una richiesta urgente di antitossina difteritica (DAT). Alcuni di questi Stati, tuttavia, hanno dichiarato che i lotti di antitossina in loro possesso erano scaduti e il piccolo paziente è stato trattato con un siero proveniente da un Paese non UE. Il bambino, trasferito in un ospedale specializzato a Barcellona, rimane in gravi condizioni.

Italia senza protezione – L’allarme per l’Italia, se si dovesse diffondere anche ne nostro Paese la difterite, risiede nel fatto che non abbiamo farmaci per curarla, al pari di Francia e Germania. “Anche l’Italia – ha sottolineato Luciano Pinto, vice Presidente della Società italiana di pediatria preventiva e sociale – non possiede scorte di antitossina difterica. Per evitare situazioni come quella che si è verificata in Catalogna, è indispensabile che le nostre Autorità, insieme a quelle europee, battano ogni strada per assicurare al nostro paese le scorte necessarie per ogni evenienza. La mancanza di DAT desta infatti una grande preoccupazione in Europa, in quanto il farmaco è necessario per curare i nuovi casi di difterite, che, anche se pochi, continuano a verificarsi ogni anno”. In Italia, prima dell'avvento della vaccinazione di massa (al termine della seconda guerra mondiale) si registravano annualmente alcune decine di migliaia di casi di difterite con più di mille morti ogni anno. 

La malattia - La difterite è una grave malattia infettiva causata dall’azione di una tossina (tossina difterica) prodotta da batteri che si trasmettono per via aerea. Solitamente la difterite inizia con mal di gola, febbre moderata, tumefazione del collo. Molto spesso i batteri della difterite si moltiplicano nella gola (faringe) dove si viene a formare una membrana di colore grigiastro che può soffocare la persona colpita dalla malattia. A volte queste membrane si possono formare anche nel naso, sulla pelle o in altre parti del corpo. La tossina difterica, diffondendosi tramite la circolazione sanguigna, può causare paralisimuscolari, lesioni a carico del muscolo cardiaco con insufficienza cardiaca, lesioni renali, fino a provocare la morte della persona colpita. La letalità è di circa il 5-10% ma in molti casi, nei sopravvissuti, permangono danni permanenti a carico di cuore, reni, sistema nervoso. I casi di malattia si sono ridotti, fino a scomparire quasi del tutto alla fine degli anni '70, dopo che la vaccinazione antidifterica è stata praticata in forma estensiva in associazione con quella antitetanica disponibile fin dal 1920.

Di Leonardo Grilli

martedì 24 marzo 2015

Plastiche per alimenti e sostanze tossiche, ultime novità.

 

Mi allaccio al vecchio post sugli interferenti endocrini del 2012

http://grillipediatria.blogspot.it/2012/11/i-perturbatori-endocrini-il-bisfenolo.html

 

Ftalati e Bisfenolo A (BPA) sono composti diffusamente utilizzati come plasticizzanti, non persistenti nell’ambiente e rapidamente metabolizzati ma dichiaratamente interferenti endocrini (IE) ossia in grado di perturbare il funzionamento del sistema endocrino. La documentata esposizione come fattori che potenzialmente possono influire sulla salute umana rende il loro studio di importanza fondamentale.

In Italia circa il 10% dei bambini fra I 6-10 anni sono obesi mentre alterazioni del timing della pubertà sono registrati in 1/5000 bambini, con netta prevalenza nelle femmine. L’esposizione a Interferenti Endocrini durante l’infanzia e la pubertà merita speciale attenzione poiché queste rappresentano fasi cruciali e suscettibili dello sviluppo.

Studi recenti hanno associato l’esposizione a 2-ethylhexyl-phthalate (DEHP) e a BPA allo sviluppo di patologie infantili multifattoriali endocrino-correlate quali la pubertà precoce e l’obesità; a loro volta, queste alterazioni nelle fasi dello sviluppo possono favorire l’insorgenza di patologie quali il diabete di tipo 2 e le malattie cardiovascolari in età adulta.

 

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http://www.pensiero.it/attualita/articolo.asp?ID_sezione=13&ID_articolo=1268

4 marzo 2015

 

Di tanto in tanto si riapre la questione della presenza di composti chimici nocivi, quali il bisfenolo A (BPA) e gli ftalati, nei biberon e nei giocattoli per i bambini. Nel 2011 la Comunità europea aveva emanato una direttiva che vietava l’utilizzo del BPA nella fabbricazione dei biberon (1). Cosa è cambiato dopo l’emanazione di questa direttiva?

Possiamo dire che quasi tutti i biberon sono sicuri?

 

 

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Purtroppo non è proprio così, in quanto anche i materiali che le ditte hanno utilizzato per la produzione di biberon dopo l’emanazione della direttiva europea non sono completamente esenti da rischi.

Uno studio del Joint Research Center, istituto la cui missione è quella di fornire un sostegno scientifico e tecnico alle politiche dell'Unione europea per la tutela degli interessi e della salute dei cittadini europei nei settori dei prodotti alimentari, prodotti di consumo, prodotti chimici e sanità pubblica, ha valutato il possibile rilascio di sostanze chimiche pericolose da parte di biberon prodotti con materiali diversi dal policarbonato.

Questo studio (che ha analizzato 277 tipi di biberon acquistabili nei Paesi della Comunità europea, in Svizzera, Canada e USA) ha evidenziato come anche alcuni biberon prodotti in poliammide possano rilasciare quantità minime di BPA, e come i biberon prodotti in silicone, il cui utilizzo si sta molto diffondendo negli ultimi anni, possono rilasciare ftalati, sostanze che alla pari del BPA sono degli interferenti endocrini (2).


Anche un altro studio pubblicato di recente, che ha analizzato degli articoli plastici comunemente usati dai bambini quali biberon, bottiglie di acqua riutilizzabili, materiali usati per la conservazione degli alimenti, ha dimostrato come molte plastiche utilizzate per rimpiazzare il policarbonato siano in grado di rilasciare sostanze con attività di interferenti endocrini (
3).

 Al momento quindi sembra che l’unico materiale che non pone problemi di rilascio sia il vetro, che per decenni è stato l’unica sostanza utilizzata per la fabbricazione di biberon.

 

La sua poca praticità e pericolosità dovute a pesantezza e fragilità, potrebbero essere facilmente risolte dall’acquisto di rivestimenti esterni in silicone creati ad hoc, disponibili a prezzi molto contenuti.

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Per quanto riguarda invece contenitori e imballaggi di plastica che vengono a contatto con i cibi?


Anche qui si pone lo stesso problema dei biberon. Molti altri articoli di plastica utilizzati normalmente per conservare e riscaldare i cibi possono rilasciare composti con attività di interferenti endocrini. Ricordiamo che l’esatta composizione chimica di quasi tutti i prodotti presenti in commercio è spesso sconosciuta. Ogni singola parte può constare di 5-30 sostanze chimiche, un articolo di plastica costituito di molte parti può contenere più di 100 sostanze chimiche diverse.

 
Uno studio descrittivo, che si è proposto di valutare la presenza di sostanze con attività estrogeno mimetica in comuni prodotti plastici usati come imballaggi rigidi e flessibili per uso alimentare, ha confermato come la maggior parte dei composti chimici testati rilascia sostanze con attività di interferenti endocrini, almeno dopo le comuni sollecitazioni d’uso (acqua bollente, radiazioni elettromagnetiche, radiazioni UV) (
4).

Il problema è che queste sostanze passano dal contenitore al cibo per poi essere ingerite come è stato dimostrato anche da un piccolo studio, pubblicato nel 2011, che ha confrontato la presenza di BPA e ftalati nelle urine di 20 persone raccolte in due distinti regimi dietetici: a base di cibi confezionati o di cibi freschi. Si è visto che nei periodi in cui le persone non utilizzavano cibi confezionati in materiali plastici dimezzavano i metaboliti degli ftalati (5).

 

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Non per nulla l’European Food Safety Authority ha abbassato le soglie di tolleranza di esposizione al BPA…
Sì, European Food Safety Authority ha emanato recentemente un parere scientifico sul BPA che abbassa di 12 volte il livello di sicurezza stimato, portandolo a 4 microgrammi per chilogrammo di peso corporeo al giorno (dai 50 fissati precedentemente). Ma, in questo stesso documento, ha rassicurato i consumatori europei sull’innocuità dell’esposizione attuale che non raggiungerebbe mai questi livelli (
6). Peccato che, anche questa volta, ci si ostini ad analizzare un singolo elemento senza tener conto dell’effetto cocktail, ovvero del fatto che noi siamo ormai esposti a un numero molto alto di sostanze potenzialmente pericolose, molte delle quali ancora non sufficientemente studiate, i cui effetti possono essere sinergici.


Passiamo ora a parlare dei giocatoli di plastica per bambini. Si è discusso a lungo della commercializzazione di giocattoli di plastica contenenti ftalati e dei potenziali effetti nocivi sulla salute dei bambini. Possiamo dire che il problema dei giocattoli agli ftalati è stato superato?

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Anche in questo caso è un capitolo ancora aperto… A distanza di anni dalla pubblicazione del regolamento europeo del 2006, non tutti i giocattoli presenti in commercio possono essere considerati a norma di legge. Tra il 2007 e il 2010 la presenza dei quattro ftalati è diminuita solo del 40% negli articoli per l’infanzia prodotti in Europa, del 13% in quelli importati nell’Unione europea e del 35 % negli articoli commercializzati nel territorio comunitario. Ne consegue che il rischio che i nostri bambini vengano a contatto con giocattoli pericolosi è ancora elevato, come del resto dimostrano le segnalazione del sistema Rapex. Si tratta di un sistema di allarme rapido, al quale aderiscono i Paesi dell’Unione europea, oltre a Norvegia, Islanda e Liechtenstein, che consente lo scambio di informazioni sui prodotti non alimentari a rischio per la salute e la sicurezza dei consumatori e sulle misure prese da questi Paesi per eliminare questo rischio.

Nel 2012 una su cinque delle notifiche Rapex riguardava i giocattoli e i rischi più segnalati, oltre al rischio di soffocamento, erano proprio correlati alla presenza di sostanze chimiche pericolose, tra cui prevalgono proprio gli ftalati. Nel 2013 le segnalazioni relative a giocattoli pericolosi sono aumentate fino al 25%. Segnalazioni simili si possono reperire sul sito del Ministero della Salute a conferma che, ad oggi, il problema dei giocattoli agli ftalati non è stato ancora risolto del tutto…

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Cosa possiamo fare per proteggerci?


Esistono diversi documenti prodotti dall’Istituto Superiore di Sanità e dal Ministero della Salute che meriterebbero di essere diffusi e condivisi. Segnalo in particolare il “Decalogo per i cittadini sugli interferenti endocrini”, scaricabile dalla pagina di presentazione del
progetto “previeni” dell’Istituto Superiore di Sanità che contiene le azioni più importanti e fattibili per ridurre il rischio dell’esposizione a queste sostanze.
Merita inoltre attenzione l’opuscolo “Attenzione agli ftalati, difendiamo i nostri bambini”, pubblicato sul sito del Ministero della Salute nel 2012 ma, purtroppo, ancora poco diffuso, dove vengono fornite delle informazioni cautelative sui rischi di giocattoli “pericolosi” per la presenza degli ftalati oltre al limite consentito (
7).

http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_opuscoliPoster_151_allegato.pdf


Per quanto riguarda i biberon infine, come abbiamo già detto, forse sarebbe meglio ritornare a utilizzare il vetro, oppure se non si possa o voglia seguire questa strada, attenersi a questi consigli (
8) forniti dal gruppo di esperti dell’Istituto Superiore di Sanità che si occupa specificamente di interferenti endocrini:

  • non scaldare liquidi in contenitori di plastica (ad es. nel microonde o a bagnomaria) in quanto si accelererà il deterioramento della plastica col conseguente cedimento di sostanze indesiderate; scaldare in contenitori di vetro o pentolini di metallo,
  • non versare liquidi molto caldi in contenitori di plastica bensì lasciare che il liquido si raffreddi prima di travasare,
  • non utilizzare contenitori in plastica usurati in quanto la migrazione di sostanze indesiderate è maggiore rispetto ai contenitori nuovi,
  • limitare l’utilizzo di sterilizzatori a caldo (vapore o microonde); si consiglia di sciacquare abbondantemente dopo la sterilizzazione e di preferire sterilizzatori a freddo (UVB o chimici),
  • lavare le tettarelle di silicone a mano.

Il bisfenolo A: che cos’è?


Il bisfenolo A, solitamente abbreviato in BPA e noto anche come 2,2-bis (4-idrossifenil) propano, è una molecola fondamentale nella sintesi di alcune materie plastiche e di alcuni additivi, viene utilizzato nella sintesi del
poliestere, dei polisulfonati, dei chetoni polieteri, in alcuni plastificanti e come inibitore della polimerizzazione del PVC. Si usa inoltre per la produzione delle resine epossidiche (utilizzate come rivestimento interno nella maggior parte delle lattine per alimenti e bevande) e delle più comuni forme di policarbonato.


Quest’ultimo, pressoché infrangibile, è usato per un gran numero di prodotti per bambini, bottiglie, attrezzature sportive, dispositivi medici ed odontoiatrici, lenti per gli occhiali,
supporti ottici, elettrodomestici, caschi di protezione, otturazioni dentarie ed ovunque siano necessarie caratteristiche di durezza e resistenza.


È soggetto ad una normativa europea che ne limita ma non ne impedisce l’utilizzo (regolamento REACH) (
9). Attualmente non è ammesso nella produzione dei biberon, (Directive 2011/8/EU Regulation 10/2011/EU) (1, 10) e il suo utilizzo è consentito nei giocattoli e negli articoli destinati all'infanzia solo a concentrazioni inferiori allo 0,1% (11). Essendo tuttavia presente anche in alcuni prodotti per l’imballaggio dei cibi, si può ritrovare nei cibi confezionati in plastica e in scatola.
Stime di esposizione, basate su cibo, aria, polvere e concentrazioni negli alimenti, indicano che la dieta è probabilmente una delle principali fonti di esposizione umana per questa sostanza (
12, 13).
Si tratta di una sostanza classificata come interferente endocrino ovvero, secondo la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, di una sostanza “in grado di alterare le funzioni del sistema endocrino, causando effetti avversi sulla salute di un organismo, della sua progenie o nella popolazione” (
14).
Numerosi studi epidemiologici hanno osservato delle correlazioni tra esposizione al BPA e funzionalità tiroidea e concentrazioni ematiche di estradiolo e progesterone, anche nelle donne in gravidanza (
15, 16). Ciò potrebbe ripercuotersi, data l’estrema sensibilità del feto a questi ormoni, in alterazioni del suo sviluppo e del suo accrescimento. Studi recenti inoltre hanno associato l’esposizione a BPA allo sviluppo di patologie infantili multifattoriali endocrino-correlate quali la pubertà precoce e l’obesità (17, 18).
Ricordiamo che proprio per approfondire queste correlazioni è attualmente in corso lo
studio PERSUADED (Phthalates and bisphenol A biomonitoring in Italian mother-child pairs: link between exposure and juvenile Diseases), finanziato dalla comunità europea nell'ambito del programma LIFE, cui collabora anche l’Associazione Culturale Pediatri.
Lo studio PERSUADED su Facebook

 

Bibliografia

  1. Direttiva 2011/8/UE della Commissione del 28 gennaio 2011 che modifica la direttiva2002/72/CE per quanto riguarda le restrizioni d'impiego del bisfenolo A nei biberon (PDF: 720 Kb).
  2. Simoneau C, Van den Eede L, Valzacchi, S. Identification and quantification of the migration of chemicals from plastic baby bottles used as substitutes for polycarbonate. Food Addit Contam Part A Chem Anal Control Expo Risk Assess 2012; 29: 469-80.
  3. Bittner GD, Yang CZ, Stoner MA. Estrogenic chemicals often leach from BPA-free plastic products that are replacements for BPA-containing polycarbonate products. Environmental Health 2014; 13: 41.
  4. Yang CZ, Yaniger SI, Jordan VC, et al. Most Plastic Products Release Estrogenic Chemicals: A Potential Health Problem that Can Be Solved. Environ Health Perspect 2011; 119: 989–96.
  5. Rudel RA, Gray JM, Engel CL, et al. Food Packaging and Bisphenol A and Bis(2-Ethyhexyl) Phthalate Exposure: Findings from a Dietary Intervention. Environ Health Perspect 2011; 119: 914-20.
  6. Scientific Opinion on the risks to public health related to the presence of bisphenol A (BPA) in foodstuffs. EFSA Journal 2015 ;13: 3978,
  7. Attenzione agli ftalati. Difendiamo i nostri bambini (poster). Ministero della Salute (PDF: 870 Kb)
  8. Francesca Baldi, Alberto Mantovani, Reparto di Tossicologia Alimentare e Veterinaria. Biberon e bisfenolo A: forse un bando non basta. Emergono “nuovi” problemi di rilascio di sostanze tossiche. Istituto Superiore di Sanità, Focus 29 marzo 2012.
  9. REACH: il Regolamento (CE) n. 1907/2006 concernente la registrazione, valutazione, autorizzazione e restrizione delle sostanze chimiche (REACH) e l'istituzione dell'Agenzia europea per le sostanze chimiche.
  10. European Commission Health and Consumers Directorate-general. Union Guidelines on Regulation (EU) No 10/2011 on plastic materials and articles intended to come into contact with food. 21febbraio 2014 (PDF: 574 Kb).
  11. Regolamento (CE) n. 1907/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006. Gazzetta ufficiale dell'Unione europea L 396 del 30 dicembre 2006 (PDF: 1,2 Mb).
  12. Lakind JS, Naiman DQ. Daily intake of bisphenol A and potential sources of exposure: 2005-2006 National Health and Nutrition Examination Survey. J Expo Sci Environ Epidemiol 2011; 21: 272-9.
  13. Rudel RA, Gray JM, Engel CL, et al. Food Packaging and Bisphenol A and Bis(2-Ethyhexyl) Phthalate Exposure: Findings from a Dietary Intervention. Environ Health Perspect 2011; 119: 914-20.
  14. International Programme on Chemical Safety. Global assessment of the state-of-the-science of endocrine disruptors. WHO/PCS/EDC/02.2
  15. Kelly K, McElrath TF, Meeker JD. Environmental Phthalate Exposure and Preterm Birth. JAMA Pediatr 2014; 168: 61-7.
  16. Lauren E Johns, Ferguson KK, Soldin OP, et al. Urinary phthalate metabolites in relation to maternal serum thyroid and sex hormone levels during pregnancy: a longitudinal analysis. Reproductive Biology and Endocrinology 2015; 13: 4.
  17. Mouritsen A1, Aksglaede L, Sørensen K, et al. Hypothesis: exposure to endocrine‐disrupting chemicals may interfere with timing of puberty. Int J Androl 2010; 33: 346-59.
  18. Hatch EE, Nelson JW, Stahlhut RW, Webster TF. Association of endocrine disruptors and obesity: perspectives from epidemiological studies. Int J Androl 2010; 33: 324-32.

giovedì 5 marzo 2015

Dopo la Sentenza di Rimini si torna alla ragione


Ribaltata in appello la sentenza di Rimini che aveva stabilito un nesso tra la vaccinazione e la malattia di un bimbo.
 
Non esistono evidenze scientifiche che il vaccino Mpr provochi l’autismo. La Corte d'Appello di Bologna ha ribaltato una discussa sentenza del giudice del lavoro di Rimini che, nel 2012, aveva riconosciuto il risarcimento a una coppia romagnola il cui bambino era stato vaccinato dalla Asl nel 2002. Successivamente, al bambino era stato diagnosticato l’autismo. Quella del giudice era stata considerata una decisione "storica", utilizzata come punto di riferimento in molte cause civili per danni che sono state avviate successivamente. E, per via indiretta, complici le prese di posizione di alcuni medici, ha anche contribuito in Italia a ridurre le coperture vaccinali, con grande pericolo per la salute di centinaia di bambini.
 
Il giudizio di secondo grado è del 13 febbraio 2015
 
 
 
Il processo è iniziato per l'appello del Ministero della Sanità, condannato a Rimini a pagare i danni da vaccino (stimati dalla ricorrente intorno ai 200 mila euro). La corte ha nominato un consulente tecnico d'ufficio (Ctu), il dottor Lodi, che ha smontato le ragioni del giudice del lavoro. Il Ctu ha esaminato la perizia che era stata svolta nel procedimento di primo grado «segnalando in modo minuzioso la non pertinenza e la non rilevanza degli studi in essa citati». Il consulente della famiglia aveva infatti presentato le ricerche di Wakefield, autore di un discusso articolo su Lancet sui collegamenti tra vaccini e autismo, che poi venne ritirato. Anche in questo caso il Ctu ha sottolineato «l’irrilevanza degli studi del medico inglese Wakefield, smentito dalla comunità scientifica».
Inoltre nella storia clinica del bambino «non c'è una effettiva correlazione temporale tra la progressiva comparsa dei disturbi della sfera autistica e il vaccino Mpr, vi è solo il fatto che i due eventi avvengono uno prima e uno dopo, ma come dimostrato in precedenza, ciò non è sufficiente a mettere in relazione i due eventi».
 
In primo grado si era detto che in assenza di altre cause evidenti la malattia non poteva che essere dovuta al vaccino.
 
 
 
Affermare che la sindrome non ha altre cause note e quindi sicuramente la causa è colpa dell'Mpr non aveva senso logico; anzi, recenti studi avanzano l’ipotesi che la sindrome potrebbe essere dovuta a una predisposizione genetica. Adesso speriamo che i magistrati che si occuperanno di vicende analoghe tengano conto di quanto stabilito dalla corte di Bologna, e soprattutto che i media e il web diano a questa sentenza la stessa enfasi che aveva ricevuto la precedente.
 
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La sentenza di appello di Bologna, che ha ribaltato il giudizio di primo grado per la causa di indennizzo nella quale era stato riconosciuto – contro ogni evidenza scientifica – il nesso tra vaccinazione MPR e autismo, chiude finalmente una vicenda che tanto danno ha fatto alla fiducia dei nostri cittadini nelle vaccinazioni. Ne è prova il drammatico calo delle coperture vaccinali che si è registrato negli ultimi due anni.
 
Si è tentato di fare credere che la vaccinazione contro il morbillo, parotite e rosolia fosse inutile e pericolosa, che vi fosse qualche connessione con l’autismo (disconoscendo almeno 25 studi che dimostrano esattamente il contrario), propagando il dubbio che la vaccinazione venisse fatta solo per un complotto organizzato di tutta la comunità scientifica, ad esclusivo interesse delle "multinazionali del farmaco".
 
Purtroppo la natura si incarica di svelare, prima o poi, l’assurdità e i danni che conseguono al dare credito a indimostrate teorie anti-scientifiche.
 
La vicenda dei
 
 
 
 
 
 
(ad oggi in California sono 130, alcuni anche molto gravi, il 20% circa ha richiesto il ricovero in ospedale) a causa del rifiuto di alcuni genitori statunitensi di vaccinare i propri figli per motivi ideologici ne è il paradigma che, curiosamente, ha preceduto di poco la notizia della sentenza di Bologna.
 
Questa vicenda giudiziaria richiede alcune riflessioni, per non incorrere in futuro in simili errori.
Anzitutto, non si devono proporre risposte sbagliate ad un vero problema, perché il risultato finale è un doppio danno. I genitori dei bambini affetti da autismo meritano tutta la nostra solidarietà e vicinanza umana, ed anche concreti aiuti economici e strutture di sussidio al loro grave problema; ma non è incolpando le vaccinazioni che si risolve la questione, anzi: così facendo si crea un grave pericolo.
 
Diminuendo le coperture vaccinali, si causa il ritorno di malattie molto serie come il morbillo e la rosolia congenita, che, paradossalmente, è invece una delle condizioni che si accompagnano ad una più elevata probabilità di autismo per il danno encefalico che tale sindrome provoca.
 
Giova ricordare ancora una volta che se un fenomeno ne precede un altro, non per questo il primo è necessariamente causa del secondo. Non sembri irrispettoso per le gravi problematiche che stiamo trattando il paragone che proponiamo, serve solo per comprendere il ragionamento: dire che l’autismo è causato dal vaccino MPR (o dal vaccino esavalente, come ancora una volta in modo incredibile giudicato dal tribunale di Milano in primo grado qualche mese fa).......
 
 
 
 
 
.....solo perché, tra i tanti vaccinati con MPR, a qualcuno viene diagnosticato l’autismo nei mesi successivi, è come affermare che fare colazione al mattino con caffè e biscotti è la causa degli incidenti stradali che si verificheranno durante la giornata, solo perché la colazione (fatta dal 90% degli automobilisti) è precedente temporalmente all’incidente che qualcuno tra i conducenti avrà inevitabilmente (è un fatto legato alla probabilità statistica). Ci vuole una verifica di almeno altri 5 criteri (devono essere tutti contemporaneamente presenti), oltre a quello temporale, per accertare l’eventuale rapporto causa-effetto tra due eventi.
 
 
In secondo luogo, è importante capire che le sentenze dei tribunali non possono sostituirsi alla evidenza scientifica. Se una sentenza dice esattamente l’opposto di quello che l’intera comunità di chi studia le cause delle malattie sostiene – non sulla base di idee o teorie, ma su dati vagliati da più revisori indipendenti e pubblicati su riviste accreditate, e in numero tale da non lasciare dubbi – da che parte potrà stare la verità? Può un giudice stabilire una verità scientifica?
È a questo punto che di solito viene proposta la spiegazione che fa leva sulla teoria del “complotto” generalizzato. I vaccini in realtà sarebbero pericolosi e non servirebbero a nulla, lo saprebbero bene tutti i rappresentanti della cosiddetta “medicina ufficiale”, tutti conniventi perché deviati irrimediabilmente dagli interessi dei produttori di vaccino. Si fa fatica a pensare che, se fosse davvero così, non ci sarebbe nessuno tra gli esperti del settore che non denuncerebbe l’inganno. Davvero triste e angosciante pensare, in una visione manichea – noi i “buoni”, gli altri tutti malvagi – che il mondo della scienza sia un blocco uniforme, monolitico, di corrotti.
 
Certamente, tra mondo della ricerca e mondo dell’industria farmaceutica ci sono rapporti di collaborazione, di scambio e di consulenza: ma come pensiamo altrimenti che si trasferirebbero le ricerche fatte in laboratorio, o su piccoli numeri di soggetti, alla produzione su grande scala? Se il laboratorio di ricerca trova un nuovo farmaco anti-tumorale che funziona, come crediamo che possa essere disponibile per i malati, se non attraverso una collaborazione continua tra chi scopre il farmaco innovativo e chi ha la possibilità (l’industria) di produrlo su larga scala con le massime garanzie di sicurezza e qualità? Lo stesso accade, ovviamente, per i vaccini.
 
Ci scandalizza forse che l’ingegnere edile che ha progettato un ponte collabori e sia continuativamente in rapporto con l’impresa che costruisce il ponte, al fine di controllare che la costruzione sia ben fatta, sia di qualità e regga nel tempo? Perché facciamo così fatica a capire lo stesso concetto nel campo medico?
 
E se si trova una mela marcia, smettiamo di mangiare ogni mela perché una si è svelata “cattiva”? Pensiamo davvero che se si trova un vigile, un avvocato, un magistrato, un medico corrotto significhi che tutti i vigili, tutti gli avvocati, tutti i magistrati, tutti i medici siano corrotti?
 
Il vero problema non è se l’industria farmaceutica guadagna nel produrre un vaccino (quale industria al mondo non ha quale proprio obiettivo fare un profitto ragionevole?), ma se quello che produce è utile o no per la salute, e se quanto viene pagato per quel vaccino dalle autorità sanitarie è un giusto prezzo per il beneficio che dal suo utilizzo può derivare.
 
Quello che invece i genitori dei bambini autistici non meritano è una spiegazione falsa delle loro sofferenze: venire convinti che c’è un falso colpevole, al contrario del tutto innocente (il vaccino).
Non meritano anni di passione in aule giudiziarie, convinti a intraprendere e continuare il percorso processuale da qualcuno che invece i propri conflitti di interesse li nasconde molto bene: sono i guadagni legati alle percentuali e alle parcelle per patrocinare le cause, o i guadagni di chi propone improbabili cure alternative a costi notevoli per le proprie visite “specialistiche”.
 
È ora di ri-iniziare ad usare bene la nostra ragione; ad avere fiducia in chi non ci chiede solo un atto di fede ma ci dimostra quanto afferma con dati verificabili; a smettere di seguire le sirene che portano soltanto a perdersi…
 
 
 
È tempo di ricominciare a vaccinare con tanta fiducia, perché i vaccini sono la più grande scoperta al servizio della salute mai fatta dal genere umano.
 
 
 
 
 
 
 

mercoledì 11 febbraio 2015

Un adulto racconta la sua esperienza di "Bambino NON vaccinato "




Questa è la storia raccontata da un adulto non vaccinato .....
Sicuramente farà riflettere. 



http://www.voicesforvaccines.org/growing-up-unvaccinated/

http://www.ilpost.it/2015/02/02/vaccini-salute/



E' vergognoso cercare la voce " vaccini " in internet e visualizzare simili immagini :




Ecco cosa ha scritto la signora  Amy Parker   :

Sono  una figlia degli anni Settanta, cresciuta in una famiglia fissata col salutismo. Non sono stata vaccinata. Sono stata sottoposta a una dieta incredibilmente salubre: niente zucchero fino a quando non ho avuto un anno, allattata al seno per più di un anno, nutrita con ortaggi dell’orto di casa, latte non pastorizzato, niente glutammato, né additivi né aspartame. Mia madre faceva ricorso all’omeopatia, all’aromaterapia, all’osteopatia; ci venivano date vitamina C, echinacea e olio di fegato di merluzzo.
Stavo molto all’aperto. Sono cresciuta in una fattoria nel Lake District in Inghilterra, facevo passeggiate ovunque, praticavo sport e andavo a ballare due volte la settimana, bevevo un sacco d’acqua. Non potevo bere bibite gassate, mi annacquavano anche il succo di frutta appena fatto per proteggere i miei denti. Avrei ucciso per avere un po’ di pane bianco comprato al supermercato e per qualche biscotto al posto della frutta nel mio cestino del pranzo, come avveniva per gli altri bambini.
Mangiavamo carne biologica (da allevamenti della zona) un paio di volte la settimana, e mia madre e mio padre cucinavano qualsiasi cosa partendo da ingredienti freschi: non ho mai mangiato un surgelato Findus e le patatine fritte comparivano a tavola solo quando mamma e papà avevano qualcuno a cena.
Anche se all’apparenza conducevo una vita sana, ho preso il morbillo, gli orecchioni, la rosolia, una meningite virale, la scarlattina, la pertosse, la varicella e ho avuto almeno una tonsillite all’anno. Da ventenne ho avuto lesioni precancerose all’utero dovute al papilloma virus e ho passato sei mesi della mia vita a chiedermi come avrei detto ai miei due bambini che la mamma avrebbe potuto avere un tumore, prima che questo fosse rimosso.
Per questo motivo quelli contrari ai vaccini, con i loro “ci vogliono sterilizzare il sistema immunitario”, non hanno molta presa su di me. Come ho potuto essere così malata durante la mia idilliaca adolescenza e nonostante il mio magnifico cibo salutare?
Mia madre avrebbe dato la colpa a molti dei miei attuali amici. Lei non beveva, non fumava, non usava farmaci e a noi non era consentito vedere quello che ci pareva in tv, indossare scarpe di plastica o altra roba del genere. Era per la medicina alternativa. E sapete che vi dico? Sono contenta che ci abbia sottoposti a una dieta del genere. E sono felice che si sia occupata di noi in quel modo. Ma quelle premure non mi impedirono di avere molte malattie da piccola.
I miei due figli sono vaccinati e non si ammalano quasi mai: avranno assunto antibiotici un paio di volte in tutte la loro vita. Non come la loro mamma: ebbi molte malattie che hanno richiesto cure con antibiotici. A 21 anni mi venne un ascesso peritonsillare resistente alle penicilline: uno di quei malanni vecchio stile che forse uccisero la regina Elisabetta I e che era stato quasi spazzato via proprio dall’introduzione degli antibiotici.
I miei bambini non hanno avuto malattie infantili a parte la varicella, che hanno contratto quando erano ancora allattati al seno. Sono stati cresciuti con una dieta sana come me, con cibi biologici dell’orto di casa e così via. Non sono stata severa come mia madre, ma loro sono comunque molto più in salute di quanto io non sia mai stata.
Mi capita spesso di riflettere sulle parole di chi sostiene che le complicazioni dovute alle malattie infantili sono estremamente rare, ma che “i danni causati dai vaccini” sono dilaganti. Se così fosse, mi chiedo perché abbia conosciuto molte più persone che hanno avuto complicazioni legate a malattie infantili per cui si poteva fare prevenzione rispetto a persone con complicazioni dovute ai vaccini. Ho amici che sono diventati sordi a causa del morbillo. Ho un amico ipovedente che ha contratto la rosolia mentre era ancora nell’utero. Un mio ex ha avuto la polmonite dopo che aveva contratto la varicella. Il fratello di un mio amico è morto di meningite.
Non ci si può basare su qualche aneddoto per decidere certe cose, certo. Ma quando i fatti e le prove scientifiche non sono sufficienti per far cambiare opinione a qualcuno sui vaccini, allora sfrutto anche quelli. Dopotutto gli aneddoti sono ciò cui fanno più ricorso quelli contrari ai vaccini: “Questa è la mia esperienza personale”. Bene, la mia esperienza personale mi suggerisce di vaccinarmi e di vaccinare i miei figli. Di recente ho fatto quello contro l’influenza e ho fatto quello per la pertosse per proteggere mio figlio prima che nascesse. La mia immunità alla malattia acquisita a 5 anni quando ebbi la pertosse non sarebbe stata sufficiente per proteggerlo alla sua nascita.
Capisco comunque da dove arrivano i genitori che sono contrari ai vaccini. Negli anni Novanta, quando ero una madre diciannovenne preoccupata e spaventata dal mondo in cui stavo portando il mio primo bambino, mi misi a studiare l’omeopatia, l’erboristica e l’aromaterapia. Credevo negli angeli, nella stregoneria, nei cerchi nei campi di mais, negli alieni arrivati a Nazca, negli esseri giganteschi che hanno trasmesso il loro sapere agli Atzechi, agli Incas, agli Egizi, e credevo anche di essere in qualche modo benedetta dallo Spirito Santo e di essere una guaritrice. Mi facevo leggere l’aura a caro prezzo e filtravo l’acqua dal fluoruro di calcio. Traevo consigli dalla lettura dei tarocchi. Mi facevo da sola rimedi con le erbe.
Ero diventata così paranoica che a un certo punto ebbi un crollo. Fu solo quando imparai a tenere sotto controllo quei pensieri paranoici e le paure sul mondo intorno a me che iniziai a essere più oggettiva e a stare meglio. Fu solo quando smisi di ingoiare pillole di zucchero per qualsiasi cosa e mi feci vedere da medici professionisti che iniziai a migliorare fisicamente e mentalmente.
Se pensate che il sistema immunitario del vostro bambino sia forte a sufficienza per combattere malattie che possono essere prevenute con i vaccini, allora dovrebbe essere forte a sufficienza da contrastare qualsiasi minuscola quantità di microbi morti o indeboliti presenti nei vaccini stessi. Ma nessuno intorno a voi è così forte, non tutti hanno la possibilità di scegliere, non tutti possono combattere queste malattie, e non tutti possono essere vaccinati. Se avete un bambino in salute, allora vostro figlio potrà resistere ai vaccini e potrà prendersi cura di quei bambini malati che non possono farlo.
Vorrei invitare chi è contrario ai vaccini a trattare i loro bambini con compassione e con senso di responsabilità per gli altri intorno a loro. Gli vorrei chiedere di non insegnare ai loro figli di essere egocentrici e spaventati del mondo in cui vivono e delle persone intorno a loro (e di insegnargli ad amare le persone affette da autismo o qualsiasi altra malattia che ritengono sia legata ai vaccini: non a etichettarli come cerebrolese).
Soprattutto, vorrei che quelli contro i vaccini si rendessero conto che esporre i propri figli alle malattie è una cosa crudele. Anche senza complicazioni, queste malattie non sono esattamente piacevoli. Non so voi, ma a me non piace vedere un bambino che soffre, nemmeno per un raffreddore o per un ginocchio sbucciato. Se non avete mai avuto malattie di un certo tipo, non potete sapere quanto siano tremende. Io lo so. Dolore, malessere, incapacità di respirare liberamente, di mangiare, di ingoiare, febbre, incubi, prurito su tutto il corpo tale da non poter stare distesi nemmeno a contatto con le lenzuola, perdere così tanto peso da non riuscire a stare bene in piedi, diarrea che ti lascia steso a terra in bagno, i permessi di lavoro non pagati per i genitori, la quarantena, la perdita di ore di scuola, le notti insonni o con gli incubi, le lacrime, il sangue, le visite al pronto soccorso in piena notte, il tempo passato ad attendere in una sala d’aspetto da solo perché nessuno ti si vuole sedere vicino perché è giustamente preoccupato da quelle macchioline rosse che hai sulla faccia.
Quelli tra voi che si sono evitati le malattie infantili senza essere stati vaccinati hanno avuto fortuna. Non ve lo sareste potuto permettere se non fosse stato per noi favorevoli ai vaccini. Se il tasso di vaccinazioni iniziasse a diminuire, il calo nell’immunità di branco lascerebbe meno protetti i vostri bambini. Più persone convertite alla vostra linea contro i vaccini, meno possibilità avrete di essere fortunati.